free stats

Educare alla bellezza

Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista, già a metà Novecento, sosteneva che “il bambino non esiste” e spiegava che non esiste “il bambino” in astratto ma sempre in relazione con altri esseri umani e con un ambiente. Questa realtà è tuttora ignorata dai principali soggetti educativi, genitori e insegnanti, che invece considerano un bambino astratto, teorico, quello che loro presuppongono.

L’uomo, a furia di mirare al possesso o consumo di cose, ne è posseduto. E la mentalità consumistica prodotta dagli adulti consuma pure la bellezza dell’infanzia rendendo bambini e ragazzi prede del marketing e instillando atteggiamenti a rischio che possono portare durante la crescita a ludopatia, obesità o altri disturbi.

Lo storico dell’arte Gustav Schörghofer scrive: “L’arte moderna ha rinunciato a raffigurare cose che sono al di là della nostra percezione immediata: non ci presenta mondi fantastici, ma ci prepara a riconoscere la realtà e a percepire in essa l’illuminazione di uno splendore nascosto. Addestra i nostri occhi a riconoscere la bellezza di ciò che non è visibile, ci mostra che c’è una grande magia da scoprire in ciò che è scartato dagli altri. In questo senso, affrontarla e sforzarsi di farlo è un esercizio che corrisponde all’atteggiamento dei bambini, che sono sempre in grado di vedere qualcosa di speciale in tutte le cose”. I bambini sono espressione di arte, hanno bisogno di arte, fanno arte. I genitori devono dare loro meno costosi dispositivi tecnologici di cui fruire passivamente e più materiale da toccare, manipolare, trasformare.

“L’arte in genere, in tutte le sue manifestazioni, si rivolge, infatti, alla complessità della dimensione umana (corpo, affettività, mente) e consente, con maggior forza ed immediatezza, l’espressione di sentimenti, emozioni e vissuti, favorendo autentiche forme di contatto e relazione con se stessi e con gli altri. La musica, la danza, il teatro e l’arte si offrono, in particolare, come spazio per poter esprimere tale dimensione emozionale, come contenitori in grado di accogliere e dare senso alle emozioni, di dare spazio al processo creativo, inteso come area di pensabilità, dove possono prendere forma, in quanto note, in quanto gesti, in quanto colore, aspetti che hanno a che fare con il non detto, con il non ancora pensato” (cit.). L’arte è stata anche una forma di evoluzione della specie umana, dalla preistoria all’antropocene, per cui bisogna “dare” arte ai bambini e educarli all’arte per lo sviluppo della loro personalità, della loro manualità e delle loro abilità, altresì per educarli alla bellezza, che non è solo un dato estetico. “7. Diritto ad essere educati alla bellezza. Bellezza delle parole, bellezza delle immagini, bellezza delle relazioni, bellezza della natura. Città grigie e inquinate, canzoni e film pieni di situazioni e parole ostili e volgari; musei, cinema e teatri con costi elevatissimi per genitori che ci vogliono accompagnare i figli: come possono i bambini imparare ad amare il bello quando non è loro reso accessibile e disponibile?” (dal “Decalogo per proteggere i nostri bambini” elaborato dallo psicoterapeuta Alberto Pellai nel 2018).

“Se la bellezza non è un mero optional, un lusso superfluo, ma una caratteristica essenziale dell’essere, occuparsene non è una mera esercitazione accademica o di circostanza, ma questione di vita o di morte: essa è indispensabile per una vita degna di questo nome” (lo studioso gesuita Giovanni Cucci). I bambini sono la bellezza della vita, hanno bisogno di bellezza, hanno diritto alla bellezza (in passato si parlava di educazione estetica e etica). Indici normativi si trovano nell’art. 9 della Costituzione e in più punti della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

I bambini sono fiori che non vanno colti ma coltivati affinché diano polline alle api di passaggio che continueranno a impollinare e a farne miele, fiori da non recidere ma da lasciare in giardino affinché tutti ne possano godere e vi si possano posare farfalle e altri insetti impollinatori.

I bambini colgono la luce della primavera, i bambini sono la luce dell’imperitura primavera, la dolcezza della vita.

Il pedagogista Daniele Novara richiama: “Lasciamo ai bambini la bellezza del pensiero magico. Diventeranno adulti più equilibrati, solidi e creativi. Diamo spazio ai sogni”. Il diritto ai sogni trova il suo fondamento nel diritto all’ascolto (art. 12 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), nella libertà di espressione (art. 13 Convenzione) e nella libertà di pensiero (art. 14 Convenzione).

Oggi si parla frequentemente di “parità di genere, uguaglianza di genere, quote di genere...”, che, però, si rivelano formule vuote. Bisogna rispettare la bellezza del genere, perché è la vita stessa. I bambini vanno educati al rispetto reciproco, alla biunivocità di diritti e doveri, perciò all’essere rispettati e al rispettare, “in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi…” (dall’art. 29 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Stare con i bambini è l’elisir dell’eterna giovinezza e gioia di vivere. “Ogni bambino ci dice nella sua maniera la bellezza e le ferite della vita e ci richiama anche alla nostra responsabilità. La sua nascita rappresenta un’esperienza nuova per l’umanità che gli deve ciò che essa ha di meglio” (dalla Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance “Pour chaque enfant, un avenir”, Parigi giugno 2007).

I bambini educati alla meraviglia e alla bellezza del mondo salveranno il mondo o quello che ne rimarrà. Gli adulti, però, continuano ad essere incoerenti: producono e provocano bruttezze e brutture e, poi, parlano di educazione allo sviluppo sostenibile.

“Chi ha avuto un’esperienza personale di espressione nell’amore poi riesce a donarla anche agli altri: tutto dipende dalle relazioni vissute nell’infanzia. Tutti i neonati sono predisposti e se fanno questa esperienza poi saranno adulti capaci di amare. Ogni bambino è migliore di come nasce: dentro di lui c’è qualcosa, una sua identità e qualità che prescinde dai genitori e dalle situazioni nelle quali è venuto al mondo. Tutti i bimbi sono bellissimi e sono sempre più forti della sovrastruttura che gli vogliamo imporre: loro la attraversano e la sovvertono, insegnandoci

inconsciamente a ritrovare qualche traccia della straordinaria dimensione della nostra fanciullezza. Ma bisogna essere veramente forti per recuperare la nostra bellezza originaria e non perderla nella quotidianità. Generalmente abbiamo paura di ciò che ci mette in discussione e il bambino è colui che lo fa meglio: approfittiamone e non abbandoniamo mai i nostri sogni! Quello che resta è immaginare il futuro, pensandolo più giusto per le persone che amiamo” (Andrea Satta, pediatra, musicista e scrittore). Anche se non è formalmente sancito, ognuno ha diritto al futuro e, soprattutto, ogni bambino ha diritto al suo futuro. 

Lo sguardo in famiglia

Sintesi: Perché è lo sguardo, in fondo, a fare la differenza, sempre

Abstract: L’articolo illustra gli effetti costruttivi dello sguardo, base del rispetto e punto di partenza dell’educazione e della reciprocità in ogni relazione

Educazione: bisognerebbe ricominciare dalla famiglia dove, in passato, “bastava solo lo sguardo”, mentre oggi manca, sempre più spesso, proprio lo sguardo dei genitori verso i figli.

Già lo scrittore Oscar Wilde affermava: “Pochi genitori oggi fanno attenzione a ciò che i figli dicono loro. Il bello, antico rispetto che si aveva un tempo verso i giovani sta morendo”. Molti figli si perdono, smarriscono la loro strada perché non hanno ricevuto adeguata attenzione quando ne avevano bisogno, quando la chiedevano anche semplicemente con uno sguardo. E, poi, ci si ritrova con comportamenti devianti o antisociali sempre più diffusi.

Olivia E. Nuñez Orellana, studiosa messicana, riferisce: “È evidente e non smette di essere allarmante il fatto che la condizione dei minori, che sono le persone più vulnerabili della società, obbliga non solo a una riflessione personale ma anche comunitaria e di ordine prioritario all’interno della società. Non solo perché lo sguardo che rivolgiamo ai bambini oggi è sicuramente il miglior investimento possibile per costruire un futuro prospero e civilizzato. D’altra parte, continuando ad ignorare le situazioni che affliggono i minori, condanneremo la società tutta a perpetrare ingiustizia e sofferenze e, eventualmente, il proprio annientamento” (nella relazione per il 2020 “La condizione dei minori” del Family International Monitor). Ci si dà da fare per i bambini, se ne fa un gran parlare, si dà loro di tutto, ma spesso, sempre più spesso, si fa mancare lo sguardo, quello che è alla base dell’attenzione, della considerazione, del rispetto, atteggiamenti previsti anche nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Il sociologo Francesco Belletti sottolinea: “Ma sicuramente ai nostri ragazzi servono speranza, fiducia e spazi di responsabilità e protagonismo: e soprattutto servono legami di senso, adulti e contesti in cui e da cui sentirsi accolti, ascoltati e non giudicati: in una parola, «guardàti»” (in un articolo pubblicato il 23 agosto 2024). Bambini e ragazzi hanno bisogno dello sguardo degli adulti. Basti pensare a uno dei gesti più frequenti da parte dei piccoli: quello di tirare uno degli adulti presenti e dire loro “guardami, vieni a vedere, guarda che ho fatto…”. E, purtroppo, il più delle volte questa richiesta è disattesa e si volge loro non uno sguardo ma solo la testa in maniera distratta e inespressiva. “Sguardo” è il senso di rispetto e orientamento di cui si parla sempre a proposito di bambini e che si deve a bambini e ragazzi (si veda la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, tra cui l’art. 5) ma non lo si fa e, poi, li si perde di vista man mano che crescono e si smarriscono.

Lo psicoterapeuta familiare Maurizio Andolfi spiega: “Quando ci si preoccupa per un figlio, per un bambino, il bambino aiuta la famiglia a motivarsi, a riunirsi di nuovo attorno allo stesso problema.

[…] L’ansia di un bambino, che si manifesta in vari modi, non è indicatore di un malessere infantile ma un indicatore del malessere familiare, come quando si misura la febbre che è solo il sintomo di una malattia. Bisogna andare a cercare la radice, dare valore al malessere del bambino come elemento di guida […] nel triangolo primario” (in un webinar del 19-03-2021). “Guidare”, anche etimologicamente, richiama “guardare” e “guadare”, evocando così il concetto di “rispettare” e quello di “orientare” (menzionati nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), che riguardano entrambi lo sguardo, perché i genitori, in virtù del loro essere genitori, non devono perdere lo sguardo verso il loro bambino e verso l’orizzonte e non centrarlo su loro stessi come singoli o come coppia o su altro, come preoccupazioni per il lavoro, la casa, le brutte notizie, le mutevoli relazioni sentimentali.

Prendersi cura di un figlio non è solo accompagnarlo, dargli cose materiali, ma dedicargli lo sguardo, seguire il suo sguardo per coglierne interessi e direzione, altrimenti ci si ritrova con il figlio cresciuto di cui si conosce poco o nulla perché lo si è perso di vista. Ciò non significa che i genitori devono essere sempre presenti fisicamente ma accorti alla e nella relazione con i figli.

Il pedagogista Daniele Novara precisa: “Una pedagogia fatta di contrapposizioni, dove al bambino tirannico si oppone l’adulto dispotico, non porta da nessuna parte. L’educazione è tutta un’altra storia”. L’educazione in famiglia è e deve rimanere una relazione asimmetrica ma non significa che deve essere un braccio di ferro tra figlio tiranno e/o genitore dispotico. L’educazione deve e può basarsi sul reciproco rispetto (come si ricava pure dall’art. 29 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) perché è innanzitutto avere uno sguardo l’uno per l’altro e non può che essere reciproco. “Perché è lo sguardo, in fondo, a fare la differenza, sempre” (cit.).

Secondo la psicologa Clara Mucci “[…] lo sviluppo di bambine e bambini è impattato dallo stato d’animo e da ogni comportamento delle figure genitoriali: il tono della voce, lo sguardo, l’atteggiamento di cura e l’attenzione condizionano l’affettività e l’accettazione di sé in età adulta. Spesso proprio da queste carenze emotive e affettive nella primissima fase della vita derivano percezioni alterate del proprio corpo: nei casi più gravi di abuso fisico o sessuale si verificano comportamenti di autolesionismo (tra cui tagli sul corpo e atteggiamenti distruttivi come dipendenze da alcol e sostanze, oppure disturbi alimentari), altre volte i traumi infantili possono sfociare in atteggiamenti aggressivi e violenti” (dai risultati di una ricerca condotta dall’Università di Bergamo sugli effetti dei traumi infantili sul cervello e pubblicata su Molecular Psychiatry ad aprile 2024). Ogni piccolo gesto può comportare grandi e gravi conseguenze. I genitori devono tenere ben presente che, in alcuni casi, la violazione degli obblighi matrimoniali o familiari può comportare il diritto a un risarcimento per “danno da illecito endofamiliare”, ricondotto alla responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. e al danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ..

Coppia: dapprima tra i due è un fatto chimico e fisico, poi man mano diventa un fatto “botanico”, perché bisogna coltivare, concimare, potare, innestare, pazientare... L’amore di coppia: può durare se ci si mette con impegno e cogliendo ogni segno, con spirito di sacrificio e reciproco sguardo. L’amore non è solo un fatto personale ma interpersonale perché riguarda il benessere di tutti e in particolare quello dei figli, come si evince dalla Carta di Ottawa per la promozione della salute e dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

“Si vede quando hai visto tuo padre e tua madre usarsi dolcezza, o non lo hai visto ma hai capito che era un loro pudore, roba loro, c’era un segreto tra di loro che coglievi nel loro sguardo, avevano una tensione bella, si desideravano, si volevano bene. Oppure quando non coglievi proprio niente, percepivi totale estraneità, assenza di contatto, distanza” (don Fabio Rosini). I bambini hanno bisogno di crescere nell’amore e di essere educati all’amore e non di essere circondati da amoreggiamenti, smancerie o scene intime e di essere chiamati a ogni piè sospinto e come qualsiasi altra persona “amore” o “tesoro”.

I figli non sono fili da tenere legati ma fili da intessere e ricamare nel meraviglioso arazzo della vita. “[…] inculcare al fanciullo il rispetto dei genitori, della sua identità” (lettera c dell’art. 29 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia): nella relazione genitori-figli è importante lo sguardo, perché lo sguardo dei genitori deve essere generatore dell’identità dei figli, come figli e come persone.

Bambini e ragazzi hanno bisogno dello sguardo, dell’attenzione, di qualcuno che colga un loro particolare e che li accolga come sono, di vigilanza, di educazione dello sguardo, del cosiddetto sguardo pedagogico, ovvero di cura amorevole: questo è il senso profondo di casa cui far ritorno e riunirsi con i cari, e non delle cose che si comprano e si danno continuamente in casa. Questo è il contenuto del dovere di assistenza morale nei confronti dei figli (artt. 147 e 315 bis comma 1 cod. civ.) e di quello che la psicologa Maria Beatrice Toro ha chiamato “diritto alla presenza consapevole” nell’elenco dei cinque nuovi diritti per l’infanzia (2016): “Ogni bambino ha diritto all’attenzione consapevole dei genitori”.

Come precisa lo psicologo Simone Olianti: “[...] lo sguardo può fare di noi esseri aperti alla vita oppure individui interamente ripiegati su noi stessi. Dipende da come guardiamo, dallo sguardo, appunto, che posiamo sull’altro, dalla cura che mettiamo in ogni parola, in ogni gesto, in ogni relazione. È il nostro sguardo che fa vivere l’altro o che lo nasconde; è lo sguardo dell’altro che ci chiama a rispondere della nostra umanità e che ci vivifica”.

La saggista Lucetta Scaraffia richiama: “E meno bambini ci sono in giro meno se ne sente la mancanza. Perché senza bambini non c’è nessuno a ricordarci, con la loro stessa grazia e dolcezza indifesa, quanto i bimbi sono belli, quanto incantano chi li guarda. Senza di loro non c’è nessuno a riscoprire la saggezza che si nasconde dietro le loro prime parole, articolate con incantevole fatica, o la gioia delle loro continue scoperte”. Meno male che ci sono i bambini che hanno uno sguardo diverso sulla realtà e che porgono una mano agli adulti per condurli nel loro mondo, che è il bello e il nuovo della vita, fin quando non è deturpato da qualche adulto.

L’arte dello sguardo: quel quid che rende autentici i rapporti, soprattutto quelli fondamentali, in famiglia e, poi, a scuola. 

Relazione educativa, educazione relazionale

Nell’art. 11 del Pilastro europeo dei diritti sociali (2017) si legge: “a. I bambini hanno diritto all’educazione e cura della prima infanzia a costi sostenibili e di buona qualità. b. I minori hanno il diritto di essere protetti dalla povertà. I bambini provenienti da contesti svantaggiati hanno diritto a misure specifiche tese a promuovere le pari opportunità”. Previsioni spesso disattese in Italia: si parla di “educazione alla cittadinanza europea”, di “bambini cittadini del mondo”, ma non sempre si ha un’adeguata cura della prima infanzia e della buona qualità dei servizi per questa fascia d’età, non si tiene conto delle crescenti forme di povertà, da quella educativa a quella socio-relazionale. I bambini sono sempre più soli, senza una rete parentale, tiranneggiati o tiranneggianti, o inseriti in un sistema scolastico spesso proiettato verso mete lontane e non attento alle esigenze concrete del singolo bambino.

La psicologa Anna Bertoni scrive: “La natura più profonda della persona è relazionale. Noi nasciamo da una relazione. La nostra qualità umana più specifica è la capacità di stare in relazione. Capiamo chi siamo e ci definiamo grazie alle relazioni che intrecciamo (il figlio rispetto ai genitori, la madre e il padre rispetto al figlio, l’amico rispetto all’amico...). Perciò è come se in questo momento vivessimo una sorta di analfabetismo relazionale”. Si ignora (e si calpesta) che la salute personale e della comunità “dipende” dalle sane relazioni con se stessi e con gli altri, come si ricava da più fonti, tra cui la Carta di Ottawa per la Promozione della Salute (1986). Tra i principali beni immateriali bisognerebbe annoverare i beni relazionali e investire di più e meglio nella famiglia e nell’educazione: così si fa prevenzione.

La formatrice Silvia Iaccarino spiega: “[…] nella relazione educativa tra genitore/educatore/insegnante e bambini, il tema della co-regolazione è centrale poiché lo sviluppo socio-emotivo segue una linea evolutiva che va da etero-regolazione ad auto-regolazione. Ovvero, è grazie alla guida sensibile e responsiva di un adulto mediamente sintonizzato con i vissuti del bambino/a che, quest’ultimo/a, nel tempo, svilupperà capacità, competenze e abilità nell’autoregolazione di emozioni e comportamenti. Sostanzialmente la co-regolazione, come processo eteroregolativo, crea le basi per un’equilibrata crescita socio-emotiva dei bambini e delle bambine”. Il segreto e la difficoltà nel relazionarsi educativamente con i bambini è entrare in sintonia con loro; bisogna padroneggiare le proprie “life skills” per far costruire, poi, ai bambini le loro competenze di vita, come l’autoregolazione. Si proclama di dare ascolto ai bambini ma spesso non si attivano nemmeno gli organi di senso nei loro confronti perché gli adulti sono distratti e attratti da altro.

Silvia Iaccarino continua: “Negli ultimi decenni, grazie a ricerche nel campo della psicologia, delle neuroscienze e delle scienze dell’educazione, questi concetti sono stati progressivamente superati.

L’idea che la disciplina debba passare attraverso la coercizione è stata sostituita dalla convinzione che l’educazione debba nutrire l’empatia, il rispetto e l’ascolto attivo. Le bacchettate sulle mani, stare nell’angolo con il cappello da somaro in testa, le minacce verbali e fisiche che i nostri nonni e genitori ricevevano erano punizioni violente fisicamente e degradanti, che sono sparite dalla nostra quotidianità. Ma la pedagogia nera è scomparsa del tutto? Anche se viviamo in una società che condanna apertamente la violenza fisica sui bambini, essa persiste in forme più sottili. Frasi come “fai il bravo o non ti voglio più bene” o atteggiamenti che minimizzano i sentimenti del bambino, come il classico “non è niente, smettila di piangere”, sono esempi odierni e attuali di questa eredità. Questi comportamenti sono meno evidenti, ma continuano a negare al bambino il diritto di esprimere le proprie emozioni e possono avere effetti duraturi sulla sua autostima e sulla capacità di relazionarsi con gli altri. Conoscere la pedagogia nera significa riconoscerne l’impatto sulla crescita dei bambini e sulla società. Superarla non vuol dire rinunciare a regole e confini, ma costruire un’educazione basata sull’ascolto, sull’empatia e sulla valorizzazione delle emozioni. È un percorso che richiede consapevolezza e formazione, ma che può portare a una relazione educativa più sana e arricchente”. In passato si applicava la cosiddetta “pedagogia nera”, oggi spesso, soprattutto nell’educazione familiare, non si applica alcuna pedagogia o si applica una “pedagogia grigia”, perché dilaga l’ineducazione che tira su “bambini tiranni” o, viceversa, ci sono genitori inadeguati centrati ancora sui loro irrisolti, come i genitori narcisisti. Rigore educativo non è mancanza di amore ma è dare e darsi regole nella relazione educativa, perché anche l’amore smodato può far male.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro analizza una triste realtà: “Se, come spesso accade, siamo costretti ad andare incontro al mondo per essere accettati, la nostra avventura inizia nel più miserevole dei modi, sotto il segno dell’accattonaggio degli affetti, quella questua per un po’ di attenzione, del ‘sarò come tu mi vuoi’ pur di ottenere la benevolenza degli adulti”. “Accattonaggio degli affetti”: piuttosto frequente nelle famiglie di oggi da parte dei bambini per ricevere un oggetto desiderato (in una dinamica di consumismo relazionale), per sedare le discussioni tra i genitori, quando un genitore con più irrisolti cerca di modellare il figlio del proprio sesso, nei casi di patologia delle cure e così via.

A tale proposito il consulente educativo Marco Maggi sottolinea la necessità di “costruire un piano affettivo con i bambini” (in un webinar del 23 gennaio 2025). Nel concepire un figlio bisogna pure concepirsi come genitori, chiedersi che tipo di genitori si vorrà essere, come porsi, come comunicare e così man mano che cresce il figlio. Anche in ogni relazione educativa gli adulti dovrebbero darsi un piano affettivo anziché pianificare la vita altrui.

Il pedagogista Fabio Olivieri evidenzia: “Oggi anche se ci incontriamo non ci riconosciamo l’un l’altro per quello che siamo, perché c’è un disempowerment relazionale” (in un webinar del 14 ottobre 2024). Tra le competenze per la vita, stabilite dall’OMS già nel 1993, vi sono le competenze relazionali, che comportano pure il “pettinare le relazioni”. Si nasce da una relazione, l’educazione è la relazione primaria umana, si ha diritto alle relazioni, eppure le relazioni sono sempre più “malate” e si è sempre più incompetenti a livello relazionale, a cominciare dai genitori.

Lo psicologo Simone Olianti lancia un messaggio di “psicologia positiva”: “La bellezza - ci ricorda Albert Camus - non fa rivoluzioni. Ma viene il momento in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza. Riscoprire la bellezza significa ripartire dai sentimenti e dalla passione di vivere: la vita non cresce, non matura per ingiunzioni o divieti, ma per seduzioni. E la seduzione, l’attrazione, la passione nascono dalla bellezza. E dalla poesia, che ci serve, sempre di più, disperatamente”. Come deve essere orientata oggi la rivoluzione educativa, la relazione educativa.

Nella relazione insegnamento-apprendimento gli insegnanti, prima di occuparsi di educazione emotiva, devono (o dovrebbero): “1. Sapere, ovvero acquisire una serie di conoscenze scientificamente fondate e aggiornate sulle emozioni che si manifestano in bambini e ragazzi nei primi anni di vita e fino alla fine del ciclo della scuola secondaria; 2. Saper essere, ovvero sviluppare una maggiore consapevolezza del proprio stile relazionale nel rapporto con le emozioni di allievi e studenti, soprattutto in presenza di comportamenti sfidanti, oppositivi o problematici; 3. Saper fare, ovvero apprendere alcuni strumenti operativi per il riconoscimento, la modulazione e la gestione degli stati emotivi di bambini e ragazzi in tutto il loro percorso di crescita a scuola, a casa e in altri contesti di vita quotidiana” (cit.). Non è sufficiente insegnare, voler insegnare, ma è indispensabile saper insegnare, prepararsi a insegnare e non semplicemente preparazione la lezione o il materiale didattico o l’ambiente.

“Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di ricercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, a prescinderne dalle frontiere, sia verbalmente che per iscritto o in forma artistica o mediante qualsiasi altro mezzo scelto dal fanciullo” (art. 13 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Affinché i bambini possano esprimersi (letteralmente “stringere, far uscire premendo”), è necessario che venga prima fornito loro un bagaglio culturale, emozionale, relazionale e, quindi, di persone che diano loro questo.

Affidamento condiviso: una lettura del ddl 832

Sintesi: Una lettura del disegno di legge, all’esame della commissione Giustizia del Senato, alla luce dell’interesse superiore del fanciullo

Durante la XIX legislatura è stato presentato il ddl 832 “Modifiche al codice civile, al codice di procedura civile e al codice penale in materia di affidamento condiviso”, che vorrebbe applicare il vero affidamento condiviso e la cosiddetta bigenitorialità perfetta in caso di separazione/divorzio. Il suddetto disegno ha da subito suscitato non poche polemiche da più fronti, per la delicata materia (si pensi al lungo e travagliato iter della legge 8 febbraio 2006 n. 54 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”) che era stata oggetto di un precedente disegno aspramente criticato e non approvato.

Per evitare una lettura faziosa o etichettante bisogna leggere il testo alla luce della ratio legis cercando di coglierne la portata innovativa e interpretando (etimologicamente da “inter” e “pretium”) locuzioni e concetti giuridici.

L’inserimento del doppio domicilio del figlio dei separati/divorziandi (art. 1 ddl) non porta a uno sdoppiamento o peggioramento della vita del figlio ma potrebbe favorire l’esercizio del vero “diritto alla casa” del figlio (diritto di cui si trovano tracce nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, innanzitutto nell’art. 16), del vero domicilio nel senso codicistico, quale sede principale degli affari e degli interessi (ovvero della vita quotidiana) e del senso etimologico di domicilio, composto di “domus”, casa, e “colere”, abitare, in altre parole il figlio non sarebbe o non si sentirebbe più solo in visita per il fine settimana o ospite per le vacanze presso l’altro genitore non collocatario.

Degno di attenzione l’art. 2 del ddl: “All’articolo 147 del codice civile, le parole: «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli» sono sostituite dalle seguenti: «La filiazione impone pariteticamente ai genitori l’obbligo di provvedere alla cura, all’educazione, all’istruzione e all’assistenza morale dei figli»”. Riformulazione dell’art. 147 che si aspettava già dai tempi della riforma del diritto di famiglia e che si rifà al dettato dell’art. 30 della Costituzione in cui si parla del diritto e dovere dei genitori indipendentemente dal matrimonio. In tal modo si darebbe “soggettività” ai figli e il rapporto genitori-figli è già inteso come “affidamento condiviso” proprio come nella sua natura di rapporto di fiducia (“affidamento” dal latino “fides”) e in linea anche con il riconoscimento del principio secondo cui i genitori hanno comuni responsabilità in ordine all’allevamento ed allo sviluppo del bambino (art. 18 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Apprezzabile la sostituzione dell’obbligo di mantenere i figli con quello di provvedere alla cura, che è il fulcro della genitorialità.

L’introduzione della mediazione familiare obbligatoria non sarebbe così “deleteria” visto che esiste già in altri ordinamenti giuridici e risponde ad altri provvedimenti previgenti, tra cui il Piano nazionale per la famiglia (adottato il 10 agosto 2022) in cui si legge: “Realizzare forme di supporto alle coppie e famiglie, per favorire una migliore comunicazione e gestione dei conflitti, anche in ordine alla problematica minorile”. Accettabile la spiegazione che viene data: “L’impoverimento di tale strumento è stato concordemente biasimato da tutti gli operatori del settore, che hanno reiteratamente segnalato i vantaggi di prevedere quale preliminare adempimento la mera informazione (pre-mediazione) sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione prima di qualsiasi contatto con la via giudiziale. D’altra parte la previsione di tale fase extragiudiziale è in accordo con la riconosciuta generale esigenza di alleggerire il carico dei tribunali. Per l’incontro iniziale è prevista in ogni caso la gratuità, in modo da rendere il passaggio accessibile a chiunque. Inoltre, per eliminare ogni preoccupazione circa il rischio di incontrare ex partner dei quali non sia stata ancora allegata la violenza (altrimenti la mediazione è esclusa), le parti potranno richiedere di incontrare il mediatore separatamente”. In più, la mediazione familiare non è obbligatoria tout court perché sono previste varie “clausole di salvaguardia”, per esempio: “L’intervento di mediazione familiare può essere interrotto in qualsiasi momento da una o da entrambe le parti” (art. 13 ddl).

“Il nuovo articolo 316-ter del codice civile incrementa la tutela delle madri non coniugate estendendola anche ai casi di morte del nascituro. Nello specifico, dispone che se al momento del parto i genitori non sono coniugati e non convivono, il padre deve condividere con la madre ogni spesa relativa al parto e, nel caso in cui quest’ultima non abbia sufficienti risorse economiche, provvedere al suo mantenimento per un periodo di tre mesi”. Questa (e altre previsioni o novelle) non costituiscono un ritorno al passato e una considerazione della donna solo per il suo ruolo materno ma, piuttosto, un’attuazione dell’art. 31 della Costituzione, una responsabilizzazione del padre e un accoglimento della cosiddetta “sindrome perinatale” che coinvolge anche il padre. Come si è tenuto conto di entrambi i genitori nella Carta dei diritti del bambino nato prematuro (approvata dal Senato della Repubblica il 21 dicembre 2010).

Promuovere il vero affidamento condiviso e una paritetica bigenitorialità in caso di separazione/divorzio non è da intendersi come attribuzione di più poteri al padre, perché non si devono dimenticare le lotte delle madri soprattutto in passato per il riconoscimento della paternità e quelle continue in caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare, situazione tutelata oggi dall’art. 570 bis cod. pen. “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”.

La bigenitorialità o, ancora meglio, la cogenitorialità dovrebbe essere intesa semplicemente come genitorialità perché iscritta nello statuto stesso della filiazione o figliolanza, come si evince dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, per esempio nell’art. 7 par. 1 diritto del fanciullo ad un nome e a conoscere in propri genitori ed essere da essi accudito, nell’art. 9 “entrambi i genitori, nell’art. 10 “suoi genitori”. Significativo, tra l’altro, quanto sancito nell’art. 8.11 della Carta europea dei diritti del fanciullo (Risoluzione A3-0172/92): “ogni fanciullo ha il diritto di avere dei genitori o, in loro mancanza, di avere a sua disposizione persone o istituzioni che li sostituiscano; il padre e la madre hanno una responsabilità congiunta quanto al suo sviluppo e alla sua istruzione; è loro obbligo prioritario procurare al fanciullo una vita dignitosa”.

Il disegno di legge, come ogni altro testo (legislativo e non), è perfettibile, sempre tenendo presente che, come in tutte le decisioni riguardanti i fanciulli, l’interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione (art. 3 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Quell’interesse superiore del fanciullo richiamato espressamente in pochi altri articoli nella Convenzione e proprio nell’art. 18 relativo ai genitori ove, nel par. 1, è scritto: “Nell’assolvimento del loro compito essi debbono venire innanzitutto guidati dall’interesse superiore del fanciullo”. A proposito di “interesse” (letteralmente “ciò che sta in mezzo”) nell’art. 3 del ddl si prescrive: “All’articolo 316, primo comma, del codice civile è premesso il seguente periodo: «La responsabilità genitoriale è l’insieme dei diritti e dei doveri dei genitori che hanno per finalità l’interesse dei figli »”. Un tentativo apprezzabile di prevenire o arginare quella mentalità adultocentrica (altra critica mossa al ddl) che, talvolta o spesso, emerge nelle scelte delle coppie, di coniugi, di partner o di genitori.

E si ricordi quanto scritto in tutta la Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori (2018), in particolare la rubrica del punto n. 1: “I figli hanno il diritto di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori e di mantenere i loro affetti”.

Nonni per sempre

Abstract: La nonnità e il diritto alla stessa trovano radici profonde nella nostra umanità e la loro importanza è riconosciuta anche da fonti normative e dalla giurisprudenza

“Nel campo della ricerca psicologica è ormai assodato che ogni essere umano, venendo al mondo, riceve non soltanto il patrimonio biologico e genetico dei propri progenitori, ma anche quello psicologico: traumi, successi, fallimenti, incidenti, perfino malattie hanno talvolta la loro origine nella storia remota dei propri antenati. In tal modo, come una catena di trasmissione, si assiste a fatti non di rado sconcertanti che possono trovare una loro spiegazione risalendo, dove è possibile, agli accadimenti del passato, accedendo all’albero genealogico della famiglia. La psicogenealogia, come metodo di indagine, è un aiuto per non limitarsi a leggere tali accadimenti in una prospettiva meramente individuale, ma per inserirli nella trama più ampia della storia familiare, riconoscendo avvenimenti del passato che continuano a influire in maniera negativa sul presente, ostacolando la realizzazione dei propri progetti e desideri” (gli esperti di psicologia Giovanni Cucci e Betty Varghese). I genitori dovrebbero tener conto degli studi della psicogenealogia e fare molta attenzione nelle loro scelte (dalla costituzione della famiglia al tipo di concepimento), non impedire ai figli di avere rapporti con i nonni o altri parenti, far conoscere le storie di entrambi i rami genitoriali perché tutto ciò influisce sulla salute e sul benessere dei figli, di cui i genitori – e non le istituzioni – sono e rimangono i principali responsabili (si leggano, tra gli altri, gli artt. 24 e 27 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Nonni e nipoti, uno dei più forti legami del cuore e che rimane per sempre nel cuore facendolo sussultare quando riaffiorano certi ricordi. Il diritto alla nonnità è uno dei diritti relazionali fondamentali dei bambini che trova vari indici normativi nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e non solo, che non si può e non si deve negare.

La legge 14 gennaio 2013 n. 10 “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani” è molto importante non solo dal punto di vista ambientalistico, in linea con l’art. 9 della Costituzione, ma anche dal punto di vista culturale. Per esempio il riconoscimento degli alberi monumentali, “patriarchi della natura”, fa venire in mente il riconoscimento dei nonni e degli avi in generale. I nonni (e in generale gli anziani) sono i pilastri della comunità: la parte più vecchia e più solida di una costruzione ma anche la parte più invisibile e trascurata, come le fondamenta di un ponte. Nonnità: consapevolezza della lentezza, della tenerezza e dell’esplicazione (e non sermoni o lezioni come sono soliti fare genitori e insegnanti) di cui ha bisogno la vita progressiva dei nipoti: un ponte intergenerazionale sul fiume della vita.

Sui nonni e sugli anziani lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro scrive: “[…] vecchi e bambini si trovano di fatto dalla stessa parte rispetto al mondo di mezzo rappresentato dalla fascia degli adulti. Come ho scritto anni fa nel mio Vecchi leoni, per un radicato pregiudizio la maturità è l’unica cosa che conta: l’infanzia e l’adolescenza sarebbero di conseguenza una mera preparazione all’età adulta e la vecchiaia un progressivo ma definitivo distacco da quel mondo di mezzo. Il pregiudizio è smentito dai tanti esempi di alleanza tra anziani e bambini che riescono spesso a intendersi a meraviglia quando scoprono di avere bisogno gli uni degli altri, ricavando tempi e spazi tutti loro. In queste vere e proprie oasi, malgrado le differenze di età, di vigoria fisica e di esperienze, vecchi e bambini vivono per qualche ora in modo molto diverso dal resto della giornata, ricordando, raccontando, facendosi domande a vicenda, giocando in casa o all’aperto. Il «tempo-che-fu» e il «tempo-che-sarà» si fondono in uno stupendo «tempo-che-è». Chi ha avuto la fortuna di vivere la straordinaria esperienza di questi «contatti del terzo tipo» tra mondi in apparenza così distanti, li ricorda per sempre con commozione e riconoscenza”. Bambini e anziani, nipoti e nonni sono quelli più vicini emotivamente perché si ri-trovano nello stesso punto del cerchio infinito della vita.

La formatrice Maria Teresa Nardi sostiene: “La festa dei nonni è occasione per fermarci, per pensare e riflettere, per ascoltare cosa si muove nel nostro cuore quando sentiamo e pronunciamo la parola nonno, nonna! Chi è bambino, ma anche chi non lo è più, sa quanto sono importanti nella vita di ciascuno. I nonni sono le radici, sono affetto incondizionato, sono tempo donato. Il loro amore illimitato, trascende gli eventi e le situazioni che la vita ci riserva: il tempo trascorso in loro compagnia è fatto di giochi, di sperimentazioni, di apprendimenti, di saperi tramandati, di calore e affetto che ci riscalderà per tutta l’esistenza. Preziosa è la loro presenza nella vita dei bambini, non solo perché rappresentano un effettivo aiuto nella frenetica quotidianità, ma soprattutto perché sono figure significative sul piano affettivo, educativo e relazionale. Le mani rugose, il profumo di borotalco, la lentezza nel fare le cose, lo sguardo rivolto verso il passato ma ancora voglioso di futuro, gli acciacchi fisici, il saper raccontare storie che incantano, la saggezza conquistata, il tempo dilatato e pregno, le lotte intraprese con la vita… sono solo alcuni ricordi che ancora mi accompagnano, se penso alla nonna con cui sono cresciuta”. I nonni sono preziosi, anche perché per la loro età e per le loro esperienze ricordano e rappresentano il prezzo e il pregio della vita.

Secondo la Cass. civ., sez. I, ord. 29.08.2024, n. 23320 non è adottabile il minore se può essere cresciuto dai nonni. In particolare, ripercorrendo una serie di precedenti pronunce importantissime, la Corte di Cassazione ha ricordato che il minore gode del diritto prioritario di rimanere nel proprio nucleo familiare di origine “quale tessuto connettivo della sua identità”. I nonni, anche se non sono stati genitori esemplari, sono essenziali per i nipoti per la costruzione della loro identità, per l’educazione alle differenze e per tanti altri aspetti. I nonni non sono sostituti dei genitori ma “genitori bis”, in altre parole nell’essere nonni non esercitano la genitorialità come nei confronti dei figli ma intessono una relazione speciale. I nonni donano un amore diverso rispetto a quello dei genitori, in alcuni casi più puro e assoluto, perché non caricano i nipoti di aspettative, ansie, ricatti

emotivi o sensi di colpa. In passato i nipoti portavano i nomi dei nonni; anche se oggi questa tradizione non c’è quasi più, i nonni sono e restano i nomi di quelle persone essenziali e insostituibili che si portano sempre nel cuore, pure quando non sono visibili agli occhi, anzi ancor di più. Perché i nonni sono quei nomi, quei ricordi che fanno venire immediatamente il nodo in gola.

Nonnità: un patrimonio esistenziale ed emozionale di cui sono depauperati spesso i bambini di oggi perché i genitori li concepiscono in età matura (per cui i nonni non ci sono più), perché i nonni sono distanti geograficamente o perché sono ostacolati i rapporti a causa di conflitti di coppia. Tra le varie disposizioni normative della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, che si possono leggere a favore della nonnità, emerge quella della lettera c dell’art. 29 in cui si legge “inculcare al fanciullo il rispetto della sua identità e dei suoi valori culturali” e i nonni sono elemento fondante dell’identità familiare e dei valori culturali, ovvero delle origini di un bambino. I bambini vanno, perciò, avvicinati, accompagnati, educati al rapporto con i nonni.

“Da piccolo nascondevo la mia ombra in quella di mio nonno. Non ho più trovato un posto così sicuro” (l’aforista Fabrizio Caramagna). I nonni sono quel ricordo cui i nipoti volgono un sorriso, anche malinconico, man mano che essi crescono ma bisogna che i genitori abbiano favorito questa relazione indispensabile.

I nonni paterni sono spesso marginalizzati, posti in secondo piano o, peggio, ignorati o evitati, ancor di più nei casi di separazione/divorzio. Anche loro, invece, sono nonni alla pari di quelli materni, punti di riferimento, storie personali e storia familiare, nel bene e nel male.

Oggi è cambiata anche la “cultura del bacio”: in passato si diceva che i bambini si baciano solo nel sonno (per eccesso di pudore o di rigore), ora, invece (indipendentemente dal pericolo pandemico), si stabiliscono tempi e modalità dei baci ai bambini da parte dei nonni o altri parenti per motivi igienico-sanitari. Il bacio, espressione della spontaneità dei bambini, dovrebbe essere altrettanto spontaneo e rispettoso nei loro confronti.

I genitori dovrebbero riflettere almeno un po’ sull’educazione sentimentale e all’affettività: si scambiano in continuazione baci con i figli, li fanno baciare con gli animali domestici, però pongono limiti ai baci con i nonni o dei nonni seguendo le nuove teorie psicologiche e pedagogiche secondo cui i bambini non devono essere baciati in tenera età sulle mani e sul volto per motivi igienico-sanitari e non devono essere costretti a baciare e abbracciare gli adulti. Eppure è così bello portare con sé il ricordo degli abbracci con i nonni: “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

“Dopo aver creato Eva, la prima donna, Dio la guardò soddisfatto perché era un capolavoro. Ma poi disse: “Posso fare meglio!”. E creò una nonna” (lo scrittore Bruno Ferrero). Bisogna consentire ad ogni nonna, materna o paterna, adottiva o elettiva, vicina o lontana, di esplicare la sua arte di nonnità (maternità bis) e realizzare un capolavoro nella relazione con i nipoti, a tutto beneficio dei nipoti. Dall’etologia si viene a sapere che le nonne orche si occupano dei cuccioli. Tutti i nipoti hanno bisogno e diritto al rapporto con i nonni (e gli adulti sono pregati di mettere da parte i loro processi mentali o altro). Il voler conoscere (nel caso di nonni defunti o lontani geograficamente) e/o frequentare (per esempio nel caso di nonni contrastati in situazioni familiari conflittuali) i nonni è un diritto dei bambini e può essere considerato un aspetto del diritto all’ascolto di cui all’art. 12 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. Capita che coloro che non hanno nonni intessano un rapporto con nonni “elettivi”, rapporto che è ancora più particolare, perché si rinnova ogni volta con una scelta di farlo.

Solitamente i nonni sono le persone che coprono di più premure i nipoti, colmando la mancanza di tempo o di attenzione che spesso hanno i genitori. Quando inesorabilmente i nonni non ci saranno più, i nipoti non potranno ricordare i dettagli di tante premure ma il calore di ogni carezza riaffiorerà in ogni freddo della vita.

La nonnità è come un albero di noce per le sue qualità e per la sua simbologia, dalla sua maestosità al suo significato di fecondità (si pensi che il noce era considerato albero divino e che esiste sulla Terra da prima che comparisse l’uomo).

I nonni non insegnano ma da loro si impara, anche a distanza di tempo, perché i nonni (ancor di più quelli di una volta) sono patrimonio di relazioni, tradizioni, emozioni.

I nonni: nocche di dita che i nipoti ricorderanno per tutta la vita; novellieri della vita; geni della lampada di Aladino; generatori elettrici per i genitori e per le nuove generazioni.

Angeli (dovrebbe essere questo il bel significato dell’espressione giuridica “ascendenti”) pronti a intervenire, anche quando hanno le ali spezzate o anche sotto una pioggia battente, sino a diventare veri angeli in cielo.