free stats

Insegnare non è…

“Da insegnanti crediamo di avere a che fare “solo” con bambini o ragazzi. In realtà ci confrontiamo con qualcosa di molto più grande: le abitudini del mondo che i giovanissimi ricevono (non si inventano nulla) e portano ai nostri piedi attraverso azioni, parole e comportamenti. A volte ciò che portano è piacevole, edificante e spassoso, ma tante volte per nulla – anzi è irritante, frustrante e altamente sfidante. E il compito sacro ed eroico dell’insegnante è NON giudicare coloro che ci mettono in difficoltà, ma scoprire come allearci a loro, per superare le difficoltà che dal mondo stanno portando in classe, per superarle e per trasformarle. Assieme. […] il ruolo dell’insegnante è trasformare l’umanità attraverso l’agire in classe, da ciò che è a una dimensione più saggia, consapevole e felice. L’insegnante stesso – come essere umano – è parte del processo: così facendo a sua volta trasforma se stesso. Continua ad evolvere. Questo è per noi il senso più alto di educazione” (cit.). L’insegnante deve avere una propria identità d’insegnante e averne consapevolezza per contribuire in maniera sana ed efficace alla costruzione dell’identità dei discenti.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro esorta: “L’invito a esprimere sorridendo, ogni volta che è possibile, il nostro amore per i bambini e i ragazzi mira a comunicare loro benevolenza, comprensione, vicinanza da parte di chi non ha dimenticato la propria infanzia e adolescenza e quanto male abbia causato vivere con adulti sempre troppo seri se non addirittura facili a mostrare la faccia feroce”. Pedagogia del sorriso (di cui il primo fautore è stato Antonio Rosmini): accogliente, semplice, naturale, salutare, efficace, comunicativa. Favorisce il benessere del fanciullo, di cui all’art. 3 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Da più parti, quasi come panacea dei problemi educativi, si invoca il cosiddetto “metodo Montessori”. “Ormai il Metodo Montessori è universalmente riconosciuto come fondamentale, e non solo in ambito pedagogico. Maria Montessori ha sempre promosso un approccio all’educazione centrato sul bambino, enfatizzando l’autonomia, la creatività e l’apprendimento autodiretto. Inoltre il suo metodo riconosce che ogni piccolo è unico perciò apprende a ritmi diversi, e che è meglio incentivare la cooperazione piuttosto che la competizione, per creare un ambiente armonioso dove il rispetto reciproco è fondamentale” (cit.). Dalla pedagogia montessoriana si ricavano principi sempre validi e attuali che non è detto che comportino l’applicazione del cosiddetto metodo montessoriano nella scuola, in particolare in quella pubblica che “è aperta a tutti” (art. 34 comma 1 Cost.). Della pedagogia montessoriana sono validi i principi e il suggerimento che l’insegnante debba avere un metodo e basarsi sull’organizzazione (e non sull’improvvisazione), osservazione, ordine (e non ordini), obiettivi, orizzonti universali. 

Il pedagogista Daniele Novara dichiara: “[...] a tutti gli insegnanti che spesso hanno parecchi e giustificati momenti di amarezza, delusione e frustrazione. Esercitano una professione che non raccoglie di certo frutti immediati, ma che può consegnare agli alunni il desiderio di tirar fuori tutte le proprie risorse e con queste dare il meglio di sé nella vita”. Gli insegnanti sono “operatori o operai culturali” che seminano e coltivano e i frutti li coglierà il futuro. Sono tra gli adulti qualificati e con responsabilità che hanno il compito di preparare per il futuro, come si evince pure dall’art. 29 lettera d della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Daniele Novara aggiunge: “Le lettere che Albert Camus scrisse al suo maestro dicono tutta l’importanza di una relazione, quella tra insegnanti e studenti, che possiamo considerare, a ragione, tra quelle fondanti della vita”. L’insegnamento è più di un lavoro, è etimologicamente (riferito al titolo “professore”) professione, missione, è relazione, azione e reazione.

“Un percorso di apprendimento incentrato sul bambino è un sentiero in divenire, uno scambio continuo, una rielaborazione, un cambiamento in cui la guida accompagna il gruppo alla scoperta dell’apprendimento in modo empatico, con le parole giuste, con un approccio non giudicante” (cit.). Insegnare non è essere arrivati o arrivare in un posto di lavoro ma crescere e continuare a crescere con chi si aiuta a crescere. Non a caso nella Costituzione l’insegnamento è stato associato all’arte, alla scienza e alla libertà (art. 33), ovvero a un processo infinito, vivo e vitale.

L’insegnamento è arte, artigianato e non qualcosa di artefatto. L’insegnamento è creatività e stimolare altra creatività. “Creatività è inventare, sperimentare, crescere, assumersi dei rischi, rompere regole, fare errori e divertirsi” (l’artista e saggista Mary Lou Cook). La parola “libertà” contiene arte, ali, beati: a questo dovrebbero mirare l’educazione, l’insegnamento.

A proposito di arte a scuola, nell’ambito dell’educazione civica, si parla di educazione finanziaria, per la quale ci si può avvalere di vari mezzi apparentemente non canonici, tra cui proprio l’arte. L’arte è trasformazione e bellezza e ciò instilla speranza. La speranza è anche pianificazione, per cui bambini e ragazzi, mediante l’arte, vengono educati a vedere oltre e a organizzare le loro risorse. “I bambini hanno diritto […] ad avere un rapporto con l’arte e la cultura senza essere trattati da consumatori ma da soggetti competenti e sensibili” (art. 6 Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura).

“L’Intelligenza Emotiva è la competenza di vita che permette alle persone di capire meglio se stesse per poter capire meglio le altre e di interagire con esse per facilitare il raggiungimento di traguardi in tutti gli ambiti della vita, da quella personale a quella professionale” (cit.). La relazione (o processo) insegnamento-apprendimento è mossa dall’intelligenza emotiva. L’intelligenza emotiva è una delle cosiddette life skills, per cui si può dire che a scuola si deve insegnare e educare con intelligenza emotiva per educare l’intelligenza emotiva. Così si fa la differenza e si contribuisce all’istruzione di qualità. Insegnare non è solo lasciare il segno ma anche farsi segnare da tutte le 

emozioni degli alunni che si porteranno sempre nel cuore, pur non rammentandole più. La qualità degli insegnanti fa anche l’istruzione di qualità. Si ricordi che l’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è: “Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”.

“Non insegnare musica ai tuoi alunni ma sii musica per loro” (cit.). Un insegnante “arriva” di più agli alunni se fa sentire la sua voce interiore, se trasmette la sua passione e li accompagna (e non dice loro semplicemente di andare in una direzione anziché un’altra), come un direttore d’orchestra che è innanzitutto un musicista tra musicisti. Per arrivare a bambini e ragazzi bisogna essere diretti, senza sermoni, ma parlando il loro linguaggio, non giovanilistico ma privo di fronzoli e retorica, e della loro vita.

Il 5 ottobre di ogni anno si celebra la Giornata mondiale degli insegnanti, che è stata istituita per ringraziare tutti gli insegnanti che rappresentano un pilastro importante per alunni e alunne che ogni giorno affrontano le gioie e le difficoltà della propria crescita formativa e personale (perché ognuno ha o ha avuto un insegnante che ha ispirato, che ha lasciato un segno importante e che ha fatto la differenza nella propria vita) e per suscitare riflessioni sul ruolo dei “professionisti della formazione” (e non semplici impiegati del Ministero dell’istruzione), sulle sfide che fronteggiano quotidianamente, sulle non semplici condizioni di lavoro a cui sono spesso sottoposti. 

La mediazione e le relazioni di aiuto

Sintesi: La mediazione, qualsiasi mediazione, da quella familiare a quella scolastica, è un’educazione o rieducazione ai “con-fini”, alle relazioni autentiche, alla trasformazione della divisione in condivisione

Abstract: Il contributo descrive i dinamismi della mediazione nelle situazioni conflittuali e non delle relazioni interpersonali

“Obiettivo della pratica della mindfulness è imparare a guardare ed accettare la realtà nel momento presente per come è, osservando in maniera distaccata i pensieri negativi e positivi e vedendoli per ciò che sono, ossia prodotti della propria mente che possono essere compresi, accettati e controllati. Tutto ciò per favorire e sviluppare nuove dimensioni di relazione con se stessi, gli altri e il mondo” (cit.). Nei casi di difficoltà personali, coniugali o familiari si fa sempre più ricorso alla mindfulness, a tecniche psicologiche e/o alle cosiddette relazioni di aiuto perché ascolto, accoglienza, comprensione, condivisione, interazione, benessere mancano sempre più nelle principali formazioni sociali ove si svolge la personalità (art. 2 Cost.), quali la famiglia e la scuola.

In ogni guerra (anche interiore o intrafamiliare) ci sono più vittime che vittorie. Il bene, prima o poi, genera altro bene: bisogna perseverare nel coltivarlo. Occorre promuovere, perciò, la “cultura della mediazione e la mediazione come cultura”, come si ricava altresì dal Piano nazionale per la famiglia (adottato il 10 agosto 2022).

“Si parla spesso di confini: il rimando più frequente è quello ai confini dei paesi, ma la parola confine si utilizza anche per descrivere lo spazio di azione di ogni individuo. Se non ci sono confini nelle relazioni che viviamo, rischiamo di perdere la nostra identità. Allo stesso tempo il confine può diventare un elemento che divide e contrappone, quasi come un muro: in questo modo chi ci incontra non entra in relazione con noi, ma si scontra col muro che abbiamo costruito. Per vivere relazioni autentiche, i nostri confini devono diventare soglie, che possano essere superate così da trasformare le divisioni in condivisioni. È solo grazie all’altro che possiamo crescere come persone: imparare a camminare insieme per costruire un mondo migliore” (cit.). La mediazione, qualsiasi mediazione, da quella familiare a quella scolastica, è un’educazione o rieducazione ai “con-fini”, alle relazioni autentiche, alla trasformazione della divisione in condivisione. Quello di cui hanno bisogno tutti, in particolare le nuove generazioni. Infatti, pure nel Piano Nazionale per la famiglia del 2022 si prevede di “Realizzare nelle scuole l’educazione a modelli positivi di comunicazione, mediazione e gestione dei conflitti”.

Il filosofo Bertrand Russell scriveva: “Quando incontri un’opposizione, anche se si tratta del tuo partner o dei tuoi figli, cerca di superarla con la discussione e non con l’autorità, perché una vittoria ottenuta con l’autorità è fittizia e illusoria” (nel messaggio alle future generazioni, 1959). “Discutere” deriva etimologicamente da “scuotere, agitare”, e significa letteralmente “agitare ad una ad una le idee o i vari punti di una questione, onde ne scaturisca la verità”. E la discussione è proprio uno degli elementi che mancano oggi nella famiglia (perché si è solitamente presi dal proprio cellulare o da altro) ed è quella che si cerca di recuperare in alcuni setting come, per esempio, in quello della mediazione familiare. Nella stanza (o nel setting) della mediazione familiare: si colgono la sofferenza e le difficoltà dei membri della famiglia, si comprendono le disfunzionalità/funzionalità dei rapporti reciproci, si costruisce un ponte per una nuova comunicazione e collaborazione, si concretizzano nuovi corsi e percorsi della vita familiare, seppure non più tutti insieme.

“Quante volte litighiamo! E si può addirittura correre il rischio di non parlarci mai più, magari a causa di inezie. [...] Mantenere le porte del nostro cuore sempre aperte e donarci l’opportunità salutare di abitare gli uni nello sguardo degli altri, senza bisogno di difesa. Sempre, daccapo, contenti di ripartire” (cit.). Quante volte la vita di coppia, la vita in famiglia è caratterizzata da porte sbattute, dal chiudersi in camera, dal cambiare la serratura della porta d’ingresso, ma al tempo stesso si ha la forza (o bisogna averla) di lasciare uno spiraglio aperto. Laddove non vi sia questo spiraglio ci si rivolge a qualcuno per costruire un ponte verso l’altro, con l’altro: le relazioni d’aiuto, che rispondono ai principi costituzionali, in primis a quelli dell’art. 2 Cost. e specificatamente a quello della solidarietà. “Solidale”, in meccanica, si dice di oggetto o elemento di un dispositivo o di una struttura collegato rigidamente a un altro, che è il sistema di riferimento: e di questo stesso meccanismo interpersonale si riprende coscienza in seno alla relazione d’aiuto.

Anche Edoardo e Chiara Vian, esperti di famiglie in difficoltà, scrivono: “Possiamo litigare, ma poi perdonarci; possiamo perdere la sintonia, ma poi risintonizzarci; possiamo allontanarci, ma poi riavvicinarci. Posso provare a costruire sempre nuovi ponti senza aver paura di perdonare o di chiedere scusa”. Nella coppia e nella famiglia è insita una capacità di “mediazione naturale” (quel rapporto tra generi e generazioni di cui si parla nel Piano nazionale per la famiglia), ma nel caso si dovesse “perdere la bussola” sarebbe il caso di rivolgersi a terze persone competenti, tra cui gli esperti di mediazione familiare.

Lo psicologo Enrico Vincenti si sofferma sulla famiglia in crisi: “La famiglia è fatta dai membri che la compongono. Ogni famiglia è unica. Così si mette al centro il soggetto e si può essere di aiuto al soggetto. […] La sciagura non è bella ma è una realtà. L’accaduto mette a nudo il soggetto che si rivela per quello che è” (in un webinar dell’11-07-2024). La famiglia non è un’entità astratta, è fatta di persone, singole e in relazione tra di loro. In caso di crisi o altro problema bisogna considerare e aiutare prima la persona per arrivare, poi, all’intera famiglia, come si era prefissa la legge 29 luglio 1975 n. 405 “Istituzione dei consultori familiari” e come si opera nelle relazioni di aiuto, in primis nella mediazione familiare.

La separazione non è un fallimento, è un momento, una realtà per quanto triste, una trasformazione della relazione, ma comunque una relazione. Bisogna maturare quella consapevolezza che porti a una “buona separazione”, non conflittuale, non distruttiva per sé e per le altre persone coinvolte. E la mediazione familiare favorisce la “buona separazione”. Quella “buona separazione” che non è detto sia stata favorita dalla legge 6 maggio 2015 n. 55 “Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi”, istitutiva del cosiddetto “divorzio breve”, legge ritenuta “una grande conquista di libertà e cultura”. I tempi accorciati del divorzio consentono di sciogliere prima i vincoli e lo stato civile, ma non consentono la cura adeguata delle relazioni e dei sentimenti in via di evoluzione, anche nei confronti dei parenti e degli affini. Quella cura che rappresenta, invece, una più autentica forma di libertà (interiore) e cultura (della pace) e di educazione relazionale per tutti.

Lo scrittore tedesco P. Thomas Mann spiegava: “Il tempo raffredda, il tempo chiarifica; nessuno stato d’animo si può mantenere del tutto inalterato nello scorrere delle ore”. Questa è la consapevolezza cui si viene condotti nelle relazioni d’aiuto. Il tempo come dimensione umana di cui riappropriarsi e non farsi prendere dall’impeto e dall’esagitazione della conflittualità. Tempo in cui coltivare e custodire tutto ciò che è caro, in primis i bambini. In questo non giovano né i tempi lunghi della giustizia nelle aule giudiziarie né i tempi brevi delle decisioni (talvolta repentine o egocentrate) degli adulti.

Nella mediazione familiare e nelle altre relazioni di aiuto ci si riappropria della dimensione del tempo e anche di quella del silenzio: si dà il proprio tempo e ci si dà tempo.

Tempo, parola polisemica, dal tempo cronologico a quello musicale, e con un’interessante origine etimologica dal greco antico “temno”, col significato di “separare”: quello che accade in se stessi e nella stanza della mediazione, durante o dopo un periodo conflittuale.

Quel tempo interiore di cui hanno diritto in particolare i bambini e di cui si parla per esempio nella Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori, nel cui punto n. 8 è scritto: “I figli hanno bisogno di tempo per elaborare la separazione, per comprendere la nuova situazione, per adattarsi a vivere nel diverso equilibrio familiare. I figli hanno bisogno di tempo per abituarsi ai cambiamenti, per accettare i nuovi fratelli, i nuovi partner e le loro famiglie”.

Abbecedario delle relazioni familiari

Abstract: L’articolo cerca di individuare i punti nevralgici che consentono alle relazioni tra familiari di essere sane, evidenziando le eventuali cause delle incrinature relazionali

Camminando un bambino alza la mano cercando quella del padre che, indifferente, continua a tenerla in tasca. Quante volte è così nella realtà delle relazioni familiari, perché ci si preoccupa dei diritti dei bambini ma spesso si trascurano le relazioni, le sane relazioni, le relazioni di qualità nella quotidianità.

Puerocentrismo: ogni bambino non è né il primo né l’unico; il bambino non è un monopolio né deve monopolizzare. Bisogna porre il bambino al centro delle relazioni senza chiuderlo alle altrui relazioni o contenderselo o invischiarlo nelle proprie relazioni (è anche questo il senso della locuzione “interesse del minore”, “the best interest of the child”). E ricordare, altresì, che ogni bambino ha una propria identità e, al tempo stesso, è identico agli altri superando ogni forma di egoismo, egotismo ed egocentrismo del bambino e, ancor prima, dei genitori. In tal senso il contenuto della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Puerocentrismo non deve significare accentrarsi e concentrarsi solo sul bambino. I genitori devono misurare i loro interventi e la loro presenza senza trascurare né la vita di coppia né altri ruoli o relazioni parentali o professionali. “[…] assicurare nei limiti delle loro possibilità e delle loro disponibilità finanziarie, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo” (dall’art. 27 par. 2 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Si diviene quel che si è e si è nella relazione, altrimenti si è un uovo da cui deve ancora uscire il pulcino: l’essere ha una costitutiva vocazione relazionale, altrimenti non ci sarebbe ragione per quel pulcino di essere tale e uscire dal guscio che si schiude alla vita. I bambini hanno bisogno di vivere relazioni, situazioni, emozioni (anche negative) per essere bambini, per divenire bambini, per crescere da bambini (si tengano presenti i risultati degli studi sui livelli di cortisolo alto dovuto a stress nei bambini).

Se si tenessero veramente a cuore i diritti dei bambini, non si dovrebbe nemmeno parlare di diritto di visita e di diritto di affidamento, perché limitativi e visti nell’ottica degli adulti. I bambini hanno diritto alle relazioni familiari (art. 8 in particolare e, poi, anche art. 9 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Il filosofo Adriano Fabris scrive: “Il figlio è colui che non si crea da solo. È colui che si sa sempre in relazione con altri: quelli che sono prima di lui, quelli che sono accanto a lui. Il figlio è colui che prolunga la propria relazionalità procreando a sua volta figli, di generazione in generazione. Il figlio, insomma, è l’esempio dell’essere umano in relazione”. Il figlio, proprio perché tale, ha diritto a nascere ed essere accudito, avere un’identità certa e a relazionarsi con le figure fondamentali della sua vita e per la sua vita (articoli 7-9 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Lo psicoterapeuta Luigi Baldascini precisa: “Per crescere sani abbiamo bisogno di tre sistemi (e sono sistemi) imprescindibili: la famiglia, i pari e gli adulti significativi. Molti genitori hanno nei confronti dei figli una tutela narcisistica e molte persone vengono rovinate proprio da questo. […] E, poi, questo si riverbererà nella coppia” (in un webinar del 20-03-2023). Si nasce da una relazione, si cresce tra relazioni, si è quello che si è nelle relazioni, si tende alle relazioni e ognuno è una relazione con se stesso. “La salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri, essendo capaci di prendere decisioni e di avere il controllo sulle diverse circostanze della vita” (dalla Carta di Ottawa per la promozione della salute, 1986). “Non viviamo mai su un’isola affettiva. Siamo da sempre debitori di una cura gradita ricevuta senza merito” (cit.).

Il sociologo Francesco Belletti afferma che “[…] la famiglia rimane un elemento fondamentale per la vita delle persone nella comunità. Nelle nostre ricerche a livello internazionale abbiamo trovato dati che confermano che per le famiglie più fragili, vulnerabili e povere le relazioni familiari sono la risorsa più potente e la risorsa di maggiore protezione. La famiglia è sempre una risorsa, una potenzialità di energia per le persone […]. La pandemia ha avuto un impatto contraddittorio sulle famiglie. Alcune famiglie hanno resistito, hanno riscoperto la bellezza delle relazioni e del tempo passato insieme. Altre famiglie, invece, già vulnerabili, sono state messe a dura prova dal punto di vista delle relazioni e anche dal punto di vista economico. L’impatto della pandemia lascia degli strascichi sui quali ancora dobbiamo vigilare. La pandemia è come se ci avesse costretto a prendere consapevolezza che intorno alle relazioni familiari si può costruire anche la politica” (in un’intervista del 16 giugno 2022). La famiglia è la costituzione della vita e, per quanto sia violata, non se ne può fare a meno. La pandemia e ogni altra difficoltà ne hanno messo e ne mettono in evidenza essenza e insostituibilità.

Nelle relazioni familiari il “fuoco” e “focus” è il dialogo: dividere il tempo con l’altro e abbattere ogni distanza. Anche questo è concordare l’indirizzo della vita familiare secondo le esigenze di entrambi i coniugi e quelle preminenti della famiglia stessa, di cui all’art. 144 cod. civ..

Edoardo e Chiara Vian, esperti di famiglie in difficoltà, rammentano: “La vita a volte ci chiede di «abitare la nostra fame», di accettare che non vi sono risposte immediate per soddisfarla e di non illuderci che se rimproveriamo il coniuge o i figli, questo li porterà a conformarsi ai nostri appetiti”. Prima di progettare una vita di coppia e di famiglia bisognerebbe avere la conoscenza dei propri buchi neri o tasti dolenti e non considerare l’amore per l’altro, partner o figlio, un modo per colmare e calmare i propri appetiti, altrimenti si generano relazioni malsane e si può cadere in o ingenerare disturbi della personalità o disturbi del comportamento alimentare o altri disturbi. Ognuno ha diritto alla salute e, al tempo stesso, dovere di salvaguardare e rispettare quella altrui, perché la salute si costruisce e si salvaguarda anche nelle relazioni (come già sottolineato nella Carta di Ottawa per la promozione della salute,).

“Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione. La frase di Zygmunt Bauman spiega che una relazione autentica richiede comprensione, presenza, risonanza tra due persone che comunicano. Presuppone, in altre parole, scambio emozionale, ascolto empatico e condivisione dei sistemi valoriali e culturali del mondo dei partecipanti. […] Le regole della buona comunicazione spiegano che, per avere relazioni felici, bisogna sapersi esprimere, in ogni situazione e con qualunque interlocutore, in modo chiaro e coerente con le emozioni esperite e con gli stati d’animo che verranno suscitati dalla modalità di interagire. Così, quando le parole e i gesti trasportano rabbia, ingenerano paura e dolore e danneggiano le relazioni; quando trasportano amore, producono ascolto, vicinanza, fiducia e creano unione. Per questo serve grande intelligenza emotiva per preservare la dignità degli interlocutori e per comunicare bene” (dalla Scuola di intelligenza emotiva). Alla luce delle frequenti crisi di coppia e di famiglie lacerate (anche per conflitti insanabili tra genitori e figli) occorrerebbe acquisire la consapevolezza dell’importanza delle regole di comunicazione e concordare una sorta di codice comune. La buona comunicazione è fondamentale per la crescita e il benessere di tutti i membri della famiglia e per l’atmosfera di felicità, amore e comprensione intorno al fanciullo (mutuando le locuzioni del Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Bisogna liberarsi delle cosiddette relazioni tossiche perché nocciono non solo alla propria salute ma a tutta la famiglia e inficiano anche le altre relazioni e situazioni (si pensi a certi fatti di cronaca).

“Lui aveva il cancro, ma abbiamo avuto tanto tempo per dirci addio” (da un film tv). Nel “cancro” di alcune relazioni interpersonali, soprattutto quelle fondamentali, bisognerebbe darsi almeno il tempo di dirsi addio, anche se rimarrà l’irrisolto delle mancate spiegazioni. Si parla tanto delle competenze relazionali da sviluppare nelle nuove generazioni, ma i primi a non averne sono proprio gli adulti sempre più impegnati e abituati a “mercificare” il loro tempo.

“L’amore non si misura con il tempo ma con la cura e l’attenzione” (dal punto n. 1 della Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori, 2018).

La Carta dei diritti della bambina: l’influenza nel sistema giuridico

Abstract: L’articolo rilegge un documento di rilevanza internazionale alla ricerca della vera bellezza espressa ed esprimibile da ogni bambina

Fantasia, intuito, sensibilità, vigore volitivo e operativo, capacità e forza comunicativa, disponibilità alla donazione di sé e al servizio: le qualità che dovrebbero caratterizzare la femminilità e che la donna dovrebbe mettere a frutto per “distinguersi” (e non dividersi o altro) dall’uomo e per arricchire l’uomo e rivelargli il bello e il nuovo della vita e non il contrario o altro, come talvolta succede. È questa “l’educazione alla femminilità” che bisognerebbe trasmettere, anche a titolo preventivo, come è in nuce nella “ratio legis” della nuova Carta dei Diritti della Bambina (approvata il 30 settembre 2016 durante la Conferenza Europea di Zurigo delle Presidenti delle Associazioni femminili europee, mentre la precedente Carta risaliva al 1997), un atto non prescrittivo ma con una essenziale valenza giuridica e culturale, con una funzione di promozione di quella profonda cultura europea e mediterranea tutta (basti pensare alle donne dell’antico Egitto, ad alcune figure femminili nella Bibbia come Ruth e Maria, al mito di Antigone, alla divinità Minerva) e in linea con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

L’articolo 1 della nuova Carta dei Diritti della Bambina recita: “Ogni bambina ha il diritto di essere protetta e trattata con giustizia dalla famiglia, dalla scuola, dai datori di lavoro anche in relazione alle esigenze genitoriali, dai servizi sociali, sanitari e dalla comunità”. È quanto ha affermato anche lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro: “Non è sufficiente riconoscere quanto male sia stato fatto, ieri ed oggi, alle donne e quali vantaggi il mondo ricaverebbe dalla loro liberazione. Occorrono fatti: in famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella ricerca scientifica, nell’espressione artistica, in politica, ovunque bisogna favorire l’affermazione piena della donna, avvalendoci tutti, finalmente di una risorsa preziosa: la sua differenza e la sua specificità”.

Anche la giornalista Mariapia Bonanate sostiene: “La donna va protetta, riconosciuta nei suoi diritti e qualità, non solo una volta all’anno ma tutti i giorni dell’anno, affrontando con gli strumenti, istituzionali, culturali, sociali, i problemi che continuano a penalizzarla pesantemente. E devono proprio essere per prime le donne, in rete fra loro, a chiederlo con la consapevolezza che sono loro a salvare il mondo. Lo dimostrano di continuo con splendide testimonianze troppo spesso ignorate”. Essere donna è un “peso specifico”, è un onere e un onore cui educare ed essere educate/i.

Far mancare la protezione e il trattamento con giustizia ad una bambina è perpetrare una violenza attuale o potenziale, perché la violenza è ciò che opprime, distrugge, piega, è una “non cultura”. La violenza sulle donne può essere insita e insidiosa in ogni ambito, dalla famiglia sino alla cultura in 

generale, per cui occorre una cultura che sia veramente tale, che sia civiltà, che sia cittadinanza senza l’aggiunta di aggettivi quali attiva, solidale o altro.

Un altro articolo della Carta che offre più spunti di riflessione è l’art. 6 secondo cui ogni bambina ha diritto “di ricevere informazioni ed educazione su tutti gli aspetti della salute, inclusi quelli sessuali e riproduttivi, con particolare riguardo alla medicina di genere per le esigenze proprie dell’infanzia e dell’adolescenza femminile”.

A proposito della sfera sessuale lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro scrive: “Un soggetto prepubere non è in grado di compiere scelte libere e consapevoli in campo sessuale. Al momento della nascita, il bambino, del tutto dipendente dall’adulto, è affidato alla responsabilità di chi di lui cura. Crescendo, acquista più autonomia e indipendenza e, dunque, spazi maggiori di responsabilità. È sempre più in grado di operare scelte consapevoli, ma la capacità di compiere decisioni nella sfera sessuale è tra le ultime a essere raggiunta. Essa presuppone non soltanto una maturità fisiologica, ma anche quella psicologica, che consente di muoversi, senza perdersi, nel gioco più o meno sottile della seduzione, spesso scambiata per normale manifestazione di affetto”. “Sesso”, etimologicamente da “tagliare, separare”, è “ciò che distingue l’uomo dalla donna”. Per poter separare, distinguere occorre conoscere e conoscersi, per questo nell’art. 6 si enuncia “il diritto di ricevere informazioni ed educazione su tutti gli aspetti della salute, inclusi quelli sessuali e riproduttivi, con particolare riguardo alla medicina di genere per le esigenze proprie dell’infanzia e dell’adolescenza femminile”, diritto che, conseguentemente, è anche il diritto di ogni bambino.

Su quest’aspetto lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni precisa: “Manca la testimonianza del presupposto di ogni incontro tra le persone, che è la considerazione di ciascuno come persona e non come cosa. Da qui nasce il rispetto dell’altro, del suo corpo come dei suoi sentimenti. Solo su queste basi si può parlare non solo di amore, ma anche di sessualità. E di stati emotivi terribili come la vergogna e la violenza subita o compiuta, che sono così difficili da pensare e quindi da dire. Fa riflettere come i gesti sessuali siano così spesso accomunati alla parola “violenza”. Come se il desiderio sessuale di alcuni venisse rafforzato dalla sofferenza di chi, nella grande maggioranza dei casi donna, subisce questi gesti, dalla sua ribellione, dal suo pianto e dal suo dolore. Imporsi con la forza fisica o con la forza del gruppo è un atto talmente vile che la vergogna dovrebbe appartenere a chi compie questi gesti. E invece colpisce le vittime e le spinge a sottomettersi ulteriormente”.

Incisivo quello che afferma la storica e saggista Lucetta Scaraffia: “Ma la cosa più terribile è che le donne che affittano l’utero, attraverso la firma di un contratto, non solo devono rifiutare già da prima qualsiasi diritto sul bambino che porteranno in grembo, ma sono anche costrette ad abortire se i committenti cambiano idea o se il feto risulta «danneggiato». Per fortuna, almeno una parte delle femministe si è resa conto che si tratta di un nuovo e terribile sfruttamento del corpo 

femminile, una nuova schiavitù, e ha condannato questo commercio. Ma c’è ancora chi pensa sia legittimo, almeno nel caso in cui avvenga in modo volontario, senza passaggio di denaro. Come se tutto ciò che si trasmette, dal punto di vista biologico e psicologico, tra una donna e il feto che cresce nel suo grembo, non conti niente, che la donna sia un mero contenitore. Non si tratta quindi solo di una gravissima forma di sfruttamento, ma di una pericolosa negazione del valore della maternità e quindi, ancora una volta, della donna”. Riprodursi è “prodursi di nuovo”, quindi qualcosa che viene da sé ed è di sé, non è un semplice fatto, ma è un’esperienza, anzi una relazione che coinvolge l’intera persona e in tal senso occorre educare.

Ancora la storica Scaraffia: “Come si insegna la prevenzione nei confronti delle malattie, delle infezioni, a cominciare dalla semplice ma essenziale prescrizione di lavarsi le mani quando si rientra a casa, così bisogna insegnare a evitare le situazioni critiche, i momenti pericolosi. Ma, chissà perché, di fronte al pericolo di violenza contro le donne questa elementare regola di buon senso non vale più: dietro alla condanna di chi invita le donne a prevenire l’aggressione evitando di uscire sole di notte, magari non tanto in grado di difendersi né di ragionare perché in preda ai fumi dell’alcool o, peggio, di accettare passaggi o comunque proposte da parte di sconosciuti, si vuole sempre vedere un retrogrado antifemminista. Un nemico della libertà delle donne, del loro diritto di comportarsi come gli uomini”. Bisogna educare ad essere donne, “signore, padrone della vita”, e non tanto ad essere femmine: questa la vera femminilità. Come hanno sempre fatto e fanno, contro ogni difficoltà, le donne africane: “Si dimostrano affidabili, responsabili e coraggiose, capaci di abbracciare con entusiasmo il cambiamento, se necessario a garantire il futuro dei figli. È la forza generativa del femminile, che non delude mai” (la giornalista Sabina Fadel). Anche le donne occidentali si devono riappropriare del “bello” (nella cui etimologia c’è un’origine dal concetto di “bene”) dell’essenza femminile sin dall’infanzia.

La sessuologa belga Thérèse Hargot spiega: “[…] la liberazione sessuale, slogan assodato e ripetuto a partire dagli anni Sessanta, è stata tutto tranne che una liberazione. Anzi, essa è divenuta il nuovo tabù intoccabile del nostro tempo, con ricadute pesanti per chi, come l’adolescente, si confronta con le problematiche affettive e sessuali. In questa mentalità, la donna si trova «plasmata» secondo gli standard maschili (anch’essi del tutto discutibili), che identificano la realizzazione con il successo professionale. Da più di cinquant’anni siamo impregnati di un femminismo di fatto materialista perfettamente accordato alla società individualista e consumista che è la nostra. Una bella alleanza, inattesa ma tenace! Da qui il sacrificio di aspetti essenziali della donna, come la maternità, ridotta a un ostacolo o a un affare privato, da portare (eventualmente) avanti in totale solitudine” (in “Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)”, 2017). La femminilità non è non deve essere un’arma a 

doppio taglio, ma è e deve essere fonte di vita e amore, genialità di emozioni e originalità di soluzioni.

La sessuologa Hargot chiosa: “Il «diritto di disporre del proprio corpo» ha fatto del bambino una proprietà della donna […]. Le donne sono isolate, il legame sociale è spezzato. Tale mentalità ha eroso anche l’identità maschile: il padre risulta essere il grande assente o è del tutto marginale”. Bisogna comprendere e far comprendere che la maternità non è solo un’esperienza personale ma interpersonale, se non sociale.

A completamento dell’art. 6, l’art. 7 stabilisce che ogni bambina ha il diritto “di beneficiare nella pubertà del sostegno positivo da parte della famiglia, della scuola e dei servizi socio-sanitari per poter affrontare i cambiamenti fisici ed emotivi tipici di questo periodo”. Nelle parole del bioeticista Paolo Marino Cattorini: “Il tempo della crescita è irreversibile: si diventa donna rinunciando a essere una perenne adolescente che carezza ancora l’eccitazione febbrile delle prime prove sentimentali”.

A chiusura della nuova Carta si legge nell’art. 9 che ogni bambina ha il diritto “di non essere bersaglio, né tanto meno strumento, di pubblicità per l’apologia di tabacco, alcol, sostanze nocive in genere e di ogni altra campagna di immagine lesiva della sua dignità”. Formulazione ben più dettagliata rispetto all’art. 9 del testo precedente: “Non essere bersaglio della pubblicità che promuove il fumo, l’alcool e altre sostanze dannose”. Nel nuovo testo attirano l’attenzione le locuzioni “strumento”, “apologia” e “ogni altra campagna di immagine lesiva della sua dignità”, ciò che si dovrebbe contrastare e che, invece, esiste in ogni ambito. In particolare l’apologia è il contrario della protezione e del trattamento con giustizia enunciati nell’art. 1. Quell’apologia che ha portato all’ipersessualizzazione o erotizzazione, estetizzazione, spettacolarizzazione, culto dell’immagine, precocizzazione di tutto tanto che si è avuto un abbassamento dell’età di molte esperienze o fasi nella vita di una bambina, dal menarca precoce alla richiesta della chirurgia plastica al seno per i 18 anni.

“Ama chi dice all’altro: tu non puoi morire!” (il filosofo francese Gabriel Marcel). L’amore non è né sesso né possesso. L’amore è consesso e contesto di anime, consenso e compenso di vite. Perciò l’amore che si manifesta patologico, possessivo o ossessivo non può essere amore, non è amore, ma egoismo, insano e malsano egoismo. Ed è in tal senso che bisogna educare e deve essere educata ogni bambina e educato ogni bambino nell’amore e all’amore, innanzitutto per se stessi e poi per l’altro e ogni altro che rimane altro da sé.

Dalla lettera-testamento spirituale dell’attrice Audrey Hepburn: “La bellezza di una donna non è nei vestiti che indossa, nel suo viso o nel modo di sistemare i capelli. La bellezza di una donna si vede nei suoi occhi, perché quella è la porta aperta sul suo cuore, la fonte del suo amore. La bellezza di una donna non risiede nel suo trucco, ma nella sua anima. È nella tenerezza che dà, nell’amore, nella passione che esprime. La bellezza di una donna cresce con gli anni”. 

Lo ius novum dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile

Abstract: L’articolo presenta un breve commento agli obiettivi principali della Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 25 settembre 2015

1. Lo sviluppo secondo l’Agenda

La parola “terra” fa rima con “serra” e contiene “arte”: la terra è una serra di cui prendersi cura con arte, l’arte del vivere, perché a nessuno appartiene ma le si appartiene e insieme la si mantiene.

Rispettare la Terra è rispettare se stessi. Bisogna tenere conto anche delle “nuove forme di disagio psicologico scatenato dalla crescente consapevolezza dei problemi ambientali e del cambiamento climatico. Coloro che soffrono della denominata eco-ansia, infatti, possono provare sentimenti di impotenza, tristezza o rabbia di fronte agli impatti distruttivi delle attività umane sull’ambiente. Questa ansia deriva anche dalla frustrazione verso le risposte politiche e sociali che possono apparire inadeguate o troppo lente” (cit.). Così si applica l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile di cui si parla tanto ma di cui si ignorano il contenuto e la portata.

Il 25 settembre 2015 l’Italia ha sottoscritto la Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU, intitolata “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”, denominata comunemente “Agenda 2030”, in cui sono riassunti tutti gli impegni internazionali, anche precedenti, per lo sviluppo sostenibile in 17 obiettivi e 169 target o sotto-obiettivi.

Si possono leggere i capisaldi aggiungendo il pensiero di esperti sulle relative materie.

“Persone: […] assicurare che tutti gli esseri umani possano realizzare il proprio potenziale con dignità ed uguaglianza in un ambiente sano” (dal Preambolo dell’Agenda 2030). La dignità, per tre volte menzionata nell’Agenda, è il primo valore umano e richiama i principali atti internazionali, quali la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. Oggi la dignità umana è sempre più minata e la sua tutela richiede ancor di più prevenzione e sinergia, soprattutto per le insidie del mondo online caratterizzato da forme di “povertà e fame”. “Il danno più grave connesso con l’abuso online è che questo materiale rimarrà accessibile per sempre. Esistono senz’altro misure in grado di sopprimere una foto o un video, ma è sufficiente che una persona abbia scaricato il materiale sul proprio computer affinché esso possa essere pubblicato nuovamente. La persona che ha subìto l’abuso viene quindi sottoposta a molteplici sofferenze; non può sapere chi ha accesso a questo materiale e chi possiede una sua foto molto intima”.

“Prosperità: Siamo determinati ad assicurare che tutti gli esseri umani possano godere di vite prosperose e soddisfacenti e che il progresso economico, sociale e tecnologico avvenga in armonia con la natura” (dal Preambolo dell’Agenda 2030). Sin dagli albori, dopo la soddisfazione dei bisogni primari l’uomo ha teso verso l’armonia, letteralmente “accordo, proporzione”, tanto che “armonia” ha la stessa radice etimologica di attività umane quali l’arare, l’arte, l’aritmetica. Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, chiosa: “Al di là della mera dimensione estetica, il bello esercita un effetto positivo sul nostro equilibrio psico-fisico. Perché, quando viene da dentro, richiama un concetto morale di ordine e armonia imprescindibile”.

“Pace: Siamo determinati a promuovere società pacifiche, giuste ed inclusive che siano libere dalla paura e dalla violenza. Non ci può essere sviluppo sostenibile senza pace, né la pace senza sviluppo sostenibile” (dal Preambolo dell’Agenda 2030). La pace è l’obiettivo che rappresenta il superamento, la sublimazione della natura animalesca e aggressiva dell’uomo, che conosce e riconosce l’altro, che non lo deve temere ma tenere con sé, non lo deve avversare ma conservare per sé, perché da ogni altro dipende la propria vita. E in questo riveste un ruolo fondamentale l’educazione che non è repressione o oppressione, ma presenza di un educatore e preparazione di un educando e viceversa e, pertanto, una relazione. La cosiddetta eclissi dell’idea di autorità, dal verbo latino “augere”, “far crescere”, ha portato effetti nefasti. Fulvio Scaparro, psicologo e psicoterapeuta, mette in guardia: “Non liquidiamo alcuni gravi episodi mettendo in campo la solita «teoria dei quattro gatti» ignoranti che non sanno quel che dicono. Certi eventi meritano vigilanza, controllo e pensieri non frettolosi”.

“Deliberiamo […] di proteggere i diritti umani e promuovere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne e delle ragazze” (Agenda 2030, n. 3). In questa proposizione e in tutto il testo dell’Agenda non si parla di diritti delle donne e di protezione delle donne, bensì si rimarca la necessità di promuovere l’emancipazione e la distinzione tra donne e ragazze. In questo processo rivestono un ruolo di protagonismo le donne stesse che devono essere le prime a emanciparsi da stereotipi e mode. Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, consulenti familiari e formatori, sottolineano: “[…] è la donna che fa più uomo il suo uomo, è l’uomo che fa più donna la sua donna. Nel rispetto reciproco. Siamo chiamati a celebrare la ricchezza del femminile e del maschile, non a pretendere comportamenti standard in forza di stereotipi vincenti”.

“[…] che tutti i discenti acquisiscano la conoscenza e le competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un educazione volta ad uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile” (punto 4.7 Agenda 2030). “[…] la musica come uno strumento per socializzare, favorire le relazioni e l’integrazione, conoscersi e comunicare, in sintesi crescere. Fare musica con le mamme in dolce attesa, i neonati, i bambini, gli adolescenti e gli adulti, permettere loro di esprimersi attraverso essa, significa formare “persone musicali” capaci di ascoltare, condividere ed emozionarsi. Con la musica la persona vive su di sé la scansione del tempo, il sapersi muovere all’interno di uno spazio condiviso, il rispetto di se stesso, del proprio ruolo e di quello degli altri” (come dicono esperte di musica). La musica, poiché mette in relazione la persona con se stessa e con gli altri, favorisce l’orientamento educativo auspicato dall’Agenda 2030. A maggior ragione bisogna favorire un approccio precoce dei bambini alla musica.

“Immaginiamo un mondo libero dalla paura e dalla violenza. Un mondo universalmente alfabetizzato. Un mondo con accesso equo e universale a un’educazione di qualità a tutti i livelli, a un’assistenza sanitaria e alla protezione sociale, dove il benessere fisico, mentale e sociale venga assicurato” (Agenda 2030, n. 7). I bambini, in particolare, hanno bisogno e diritto di sognare: “[…] il sogno ha un’importante funzione evolutiva. È probabile che permetta di attivare la capacità di imparare a imparare, cioè analizzare le esperienze, i cambiamenti che ci circondano e di adattarci a essi in una sorta di continuo aggiornamento del cervello, come i software dei nostri computer. Un’altra probabile funzione è la rielaborazione continua dei contenuti che apprendiamo durante la veglia, sia consci sia inconsci, favorendo un equilibrio emotivo e di vita fondamentali per ognuno di noi” (Filippo Tradati, medico e docente universitario).

“Il mondo che immaginiamo è un mondo dove vige il rispetto universale per i diritti dell’uomo e della sua dignità, per lo stato di diritto, per la giustizia, l’uguaglianza e la non-discriminazione; dove si rispettano la razza, l’etnia e la diversità culturale e dove vi sono pari opportunità per la totale realizzazione delle capacità umane e per la prosperità comune. Un mondo che investe nelle nuove generazioni e in cui ogni bambino può crescere lontano da violenza e sfruttamento. Un mondo in cui ogni donna e ogni ragazza può godere di una totale uguaglianza di genere e in cui tutte le barriere all’emancipazione (legali, sociali ed economiche) vengano abbattute. Un mondo giusto, equo, tollerante, aperto e socialmente inclusivo che soddisfi anche i bisogni dei più vulnerabili” (Agenda 2030, n. 8). Crescere è diritto e dovere di ognuno. Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni spiega: “La crescita è un’avventura emozionante e attraente per i più, ma è talvolta accompagnata dal timore di perdere per sempre qualcosa. Ad esempio le sicurezze dell’infanzia, quando, al riparo dei genitori, le responsabilità sono poche e tutto sembra facile, dalle amicizie al successo scolastico. Affrontare il futuro vuol dire lasciare le certezze di un mondo conosciuto […] per entrare in una realtà incognita”.

“Potenziare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo” (obiettivo n. 11.4 Agenda 2030). Bisogna rammentare che “patrimonio” è tutto ciò che è lasciato dai padri e che la dicotomia o, addirittura, contrapposizione tra cultura e natura è solo un artificio creato nel tempo dall’uomo stesso, mentre nelle civiltà passate vi era identificazione come si può ricavare dall’arte e dall’architettura. Etimologicamente “natura” deriva da nascere e “cultura” da coltivare: sono così la vita stessa e l’essere umano. Secondo una parte dell’etimologia “uomo” deriva da “humus”, terra: l’uomo deve recuperare questa sua origine e l’umanità, intesa quale insieme delle caratteristiche della specie umana e quale intera famiglia umana. Lo psicoterapeuta Claudio Risé esplica: “Leonardo parlava di «necessità» come «misura e maestra» della vita umana. Per vivere una vita equilibrata non si possono non riconoscere i limiti posti dal mondo naturale attorno a noi, dalla stessa presenza degli altri. E si riferiva anche ai limiti della nostra natura umana, che devono essere affrontati con l’impegno e con la fatica, ma rispettando una natura che rimane sovrastante le nostre capacità, senza rinunciare alla fatica, all’impegno, allo sforzo. Anche perché, senza fatica, impegno, esercizio, alla fine l’uomo perde competenze e capacità. Se usiamo sempre il navigatore per trovare la strada, non saremo più capaci di orientarci da soli”. Cultura e natura, cultura è natura, questa la direzione dell’art. 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Ed anche dell’art. 29 par. 1 lettera e della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, in cui si legge “inculcare nel fanciullo il rispetto per l’ambiente naturale”, a chiusura degli obiettivi educativi.

“[…] dimezzare lo spreco alimentare globale pro-capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura, comprese le perdite del post-raccolto” (obiettivo n. 12.3 Agenda 2030). Interessante la storia dell’alimentazione, per comprendere come il cibo sia stato importante nelle religioni e nelle varie civiltà, come il cibo sia essenziale nello sviluppo psicofisico di ogni persona (a cominciare dall’allattamento materno, di cui si parla pure nell’art. 24 par. 2 lettera e della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), come sia nato e sia stato affrontato lo spreco alimentare sino alla Prima Giornata europea contro lo spreco nel 2010, seguita dall’istituzione, nel 2014, della Giornata nazionale contro lo spreco alimentare e successivamente dalla legge contro lo spreco alimentare, la legge 19 agosto 2016 n. 166 “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”. Il giornalista Matteo Mascia scrive: “[…] oggi sappiamo in modo scientifico che, per esempio, produrre e mangiare carne ha un impatto ambientale, in termini di consumo di terra, acqua e di emissioni, molto maggiore rispetto ad altri prodotti alimentari come legumi, verdura, frutta e gli stessi latticini. […] È del tutto evidente che la nostra dieta dovrà cambiare per ridurre l’impronta ecologica sul pianeta. Anche perché l’alto impatto attuale dei sistemi alimentari non potrà che aumentare come conseguenza del miglioramento delle condizioni di vita e, dunque della dieta alimentare, di molti popoli in Asia, America Latina, Africa. La questione della produzione alimentare va affrontata prima di tutto dal punto di vista della lotta allo spreco alimentare”. 

“Porre fine all’abuso, allo sfruttamento, al traffico di bambini e a tutte le forme di violenza e tortura nei loro confronti” (obiettivo 16.2 Agenda 2030). L’abuso è un uso eccessivo, illecito o arbitrario di qualcosa: ed è quello che si fa con i mezzi digitali e la connessione Internet. “Non si incontrano facilmente genitori che non siano preoccupati per l’uso che potrebbe essere fatto di Internet da parte dei figli, e in particolare per la presenza diffusa sulla rete di immagini pornografiche. Quello che è preoccupante nel privato e per la famiglia, assume dimensioni terrificanti quando si guarda ai numeri globali e ci si rende conto della vastità e della multiformità del problema. […] Si può certamente affermare che Internet offre grandi possibilità, vantaggi e comodità, ma indubbiamente porta anche grandi rischi per la sicurezza, espone a truffe economiche, e a pericoli anche per l’integrità e la dignità delle persone, con speciale riferimento ai bambini, che non dispongono degli strumenti per difendersi. Essi sono così minacciati da nuove forme di abuso, come cyberbullismo (l’uso delle nuove tecnologie per intimorire, molestare, mettere in imbarazzo, far sentire a disagio o escludere altre persone), cybergrooming (adescamento sessuale attraverso la rete), sexting (invio di testi o immagini sessualmente esplicite tramite Internet o telefono cellulare) e sextortion (pratica spesso usata da cyber criminali per estorcere denaro alle vittime: il malintenzionato contatta la vittima, la convince a farsi mandare foto e video sessualmente espliciti e poi chiede un riscatto per non rendere pubblico questo materiale)”.

2. Lo sviluppo oltre l’Agenda

“Ci impegniamo affinché vi sia un’educazione di qualità a tutti i livelli (scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado, università e formazione tecnica e professionale). Tutte le persone a prescindere dal sesso, dall’età, dalla razza o dall’etnia, persone con disabilità, migranti, popolazioni indigene, bambini e giovani, specialmente coloro che si trovano in situazioni delicate, devono avere accesso a opportunità di apprendimento permanenti che permettano loro di acquisire gli strumenti e le conoscenze necessarie per partecipare pienamente alla vita sociale” (Agenda 2030, n. 25). Ci si adopera per la qualità di vita ma non altrettanto per l’educazione di qualità che è alla base della prima. Eloquente la descrizione di Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta: “La scuola non è un luogo di missione, ma di convivenza rispettosa e pacifica, un luogo di co-educazione. E se a davanti a loro ci sono adulti che sanno educare, i bambini non rimarranno confusi”.

Anche in base all’art. 34 Cost. comma 1 bisogna: “Trasformare la scuola in un luogo democratico e aperto; Seguire bisogni e interessi di bambini e bambine; Acquisire competenze nella progettazione dell’ambiente come terzo educatore” (cit.). L’istruzione di qualità richiede agli insegnanti preparazione, progettazione, programmazione, personalizzazione delle attività, sin dalla scuola dell’infanzia, la prima fondamentale scuola che non è basata sull’improvvisazione o solo sul fare il girotondo. Come nella scuola dell’infanzia, tutta la scuola dovrebbe puntare sulla creatività. La creatività è fonte di lavoro e futuro (Agenda 2030, n. 8.3: “la creazione di posti di lavoro dignitosi, l’imprenditoria, la creatività e l’innovazione”). Quel “rinnovamento dell’istruzione” di cui si parlava già nell’“Agenda Seoul: obiettivi per lo sviluppo dell’educazione all’arte” (2010).

Per offrire un’istruzione di qualità tra le varie metodologie si adottano le mappe, tra cui quelle mentali. “Le mappe mentali sono da considerarsi come una tecnica di scrittura visuale per stimolare e mettere a frutto le risorse mentali, le capacità creative e i processi associativi che ci permettono di strutturare e ristrutturare idee” (cit.). Insegnare le (per) mappe mentali corrisponde all’impartire orientamento e consigli per l’esercizio dei diritti dei bambini di cui si parla nell’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, perché rappresentano mappe esistenziali ed essenziali.

Tra le “avanguardie educative” vi è pure l’Outdoor Education (si vedano le “Linee guida per l'implementazione dell’Idea Outdoor Education”, 2023): “Il focus di questo modo di fare scuola, non è tanto il semplice “uscire”, ma il riflettere sulle esperienze svolte in esterno, il che comporta una connessione continua delle varie fasi, fatte di uscite e rientri, teoria e pratica, previsione e progettazione delle esperienze, momenti di monitoraggio, valutazione critica e documentazione, stimolo esperienziale, e altro ancora. La ”Outdoor Education” offre un pensiero pedagogicamente fondato rispetto al valore educativo del rapporto globale tra uomo e ambiente naturale in relazione ai diversi contesti, situazioni, età dei soggetti. Non si tratta di un’ulteriore e separata educazione rispetto a quella tradizionale, ma di una modalità diversa di fare scuola, riconciliando i tempi dell’apprendimento con quelli dell’esperienza, assumendo l’ambiente esterno come normale-naturale ambiente di apprendimento in connessione e continuità con l’ambiente interno” (il divulgatore Claudio Garrone). Non dovrebbe essere necessario parlare di “Outdoor Education” perché, in realtà, dovrebbe essere istruire secondo gli articoli 28 e 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e secondo i diritti naturali dei bambini, e tutta la scuola dovrebbe essere un’outdoor education.

“Ci impegneremo ad assicurare ai bambini e ai giovani un ambiente stimolante per la piena realizzazione dei loro diritti e la messa in pratica delle loro capacità, aiutando i nostri paesi a beneficiare del dividendo demografico attraverso scuole sicure, comunità coese e le famiglie” (Agenda 2030, n. 25). Don Antonio Mazzi, fondatore di comunità di recupero, sui suicidi giovanili: “Quelle morti spiazzano sempre tutti perché non offrono segnali razionali. Bisogna ascoltarli e capirli. […] Improvvisi, nel momento meno immaginabile, mai giustificabili, oppure giustificati con due righe due su un pezzetto di carta. “Ero stufo”, “Non mi piacevo”, “Scusatemi”. Poi arrivano i genitori distrutti, gli insegnanti spaventati, i compagni stravolti. Parliamo sempre delle compagnie 

sbagliate, di anfetamine, dell’alcool, di tutto quello che volete. Ma per qualcuno la vera compagna coccolata, preparata, sognata nel mistero più totale, è lei: la morte”. I giovani hanno bisogno di sprono e speranza: Rosario Livatino, giovane giudice ucciso dalla mafia per fermarlo e metterlo a tacere, ma la sua voce e il suo operato continuano a farsi sentire costituendo un esempio per i giovani, soprattutto in mezzo alle difficoltà. Giovani, fondo di risorse e libertà da custodire e su cui investire: bisogna guardarli di più e aiutarli a guadare la loro vita.

“Lavoreremo per costruire economie dinamiche, sostenibili, innovative e incentrate sulle persone, promuovendo in particolare l’assunzione di giovani impiegati” (n. 27 dell’Agenda 2030). “È triste constatare come, sempre più spesso, persone molto avanti negli anni sembrino incapaci di «lasciare spazio» perché altri possano subentrare. Esse si attaccano con morbosità al proprio incarico, al posto di comando, senza rendersi conto che è giunto il momento di «passare il testimone». Anche questa è una sconfitta educativa, forse la più grave, specie in questa drammatica crisi occupazionale che penalizza i più giovani, pur capaci e in grado di assumere incarichi di responsabilità” (lo studioso gesuita Giovanni Cucci). Quando si parla di “solidarietà intergenerazionale” bisogna ricordare che questa presuppone la bilateralità.

“Ci impegniamo a promuovere la comprensione interculturale, la tolleranza, il rispetto reciproco, insieme a un’etica di cittadinanza globale e di responsabilità condivisa. Prendiamo atto della diversità naturale e culturale del mondo, e riconosciamo che tutte le culture e le civiltà possono contribuire a, e sono attori fondamentali per, lo sviluppo sostenibile” (Agenda 2030, n. 36). Si sta passando dalla “società liquida” alla “liquidazione della società”. Per quanto la cultura sia mutevole non si può distruggere e vanificare la “cultura umana”: generare vita e accudire i piccoli, ovvero libertà e responsabilità, due volti imprescindibili e ineludibili dell’amore. Il sociologo Vittorio Filippi commenta lo stato attuale: “Chi si appella alla crisi economica si nasconde dietro una foglia di fico. Il fenomeno della “de-nuzialità”, già rilevato agli inizi degli anni Sessanta, ha radici culturali. Se così non fosse, passata la crisi i matrimoni dovrebbero tornare a crescere, cosa che non credo accadrà. Negli anni Cinquanta del secolo scorso (non a caso soprannominato la golden age del matrimonio) le nozze erano un obiettivo a lungo termine socialmente riconosciuto, oggi invece, in una società liquida che insiste sull’io a detrimento del noi, la coppia è divenuta un qualcosa di sperimentale e individualizzato, che procede per tentativi ed errori. […] Di questo passo, però, si corre il rischio di amare l’idea dell’amore e non la persona in sé, col risultato di incappare in un rapporto competitivo e stressante che, privo del confronto diretto, volgerà inevitabilmente al termine qualora non soddisfi più i diretti interessati”.

La comprensione, la tolleranza e il rispetto, anche etimologicamente, presuppongono l’esistenza di due, di uno e di un altro, dell’alterità e dell’alienità. Sono da tutelare, pertanto, tutte le biodiversità umane, culturali e linguistiche, quale patrimonio immateriale. “Tutto deriva dal delirio di onnipotenza dell’uomo contemporaneo, che proprio perché può fare tutto pensa che non ci siano limiti – denuncia Claudio Risé –: la natura non deve porgli limiti, la fatica e l’impegno personale possono e devono essere evitati, e ogni mio desiderio può e deve avverarsi. Si perde così il rispetto della natura e dell’altro. Ma in questo si paga anche la dimenticanza di Dio, dell’Altro per eccellenza, che è un limite troppo grande per la voglia di onnipotenza dell’uomo contemporaneo. Purtroppo quest’uomo contemporaneo non comunica più con gli altri, vede solo la propria potenza, e quindi non riconosce la dignità dell’altro e della natura, ma ne fa quello che vuole”.

“Decidiamo di costruire un futuro migliore per tutte le persone, compresi i milioni a cui è stata negata la possibilità di condurre una vita decente, dignitosa e gratificante e raggiungere il loro pieno potenziale umano” (Agenda 2030, n. 50). Il futuro, anche se aleatorio, fa parte proprio dell’essere e, anche per questo, si parla di diritto al futuro. Significative, tra le tante, le parole usate nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione” (2012): “[…] aiutare i piccoli a crescere e imparare, a diventare più «forti» per un futuro che non è facile da prevedere e da decifrare”. Matteo Mascia aggiunge: “Il cambiamento climatico è inestricabilmente legato ad altri drammatici problemi globali, come la perdita di biodiversità, la scarsità idrica, l’emergenza alimentare, la riduzione delle terre coltivabili e, di conseguenza, alla lotta alla povertà e alla necessità di garantire un futuro equo e sostenibile per tutti. Per chi vive oggi e per chi verrà domani”. L’anelito al futuro ha sempre caratterizzato l’uomo facendogli compiere grandi opere ed è quella speranza che l’uomo deve riprendersi e ridare superando ogni pessimismo e nichilismo.

“Bambini e giovani uomini e donne sono agenti critici del cambiamento e troveranno nei nuovi obiettivi una piattaforma per incanalare le loro infinite potenzialità per l’attivismo verso la creazione di un mondo migliore” (Agenda 2030, n. 51). “Creazione di un mondo migliore” è da sempre l’orizzonte della filosofia (in primis Leibniz) e delle religioni. Nell’Agenda 2030 non si parla dell’aspetto religioso né sono state coinvolte le autorità religiose (tanto nella formulazione del documento quanto nelle responsabilità che ne conseguono) ma la sostenibilità, in realtà, implica valori religiosi, come il rispetto, la fratellanza, l’intergenerazionalità, la salvezza, la speranza. Perché la religiosità, la spiritualità sono innate nell’uomo e non si può trascurarle per quanto oggi le si ignori. Sono presenti anche nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, dal trinomio “felicità, amore e comprensione” nel Preambolo ai principi e obiettivi educativi espressi nell’art. 29. Perché l’infanzia rappresenta la sostenibilità, il meglio dell’umanità.

Già Maria Montessori: “Il bambino è un embrione spirituale delicato, ma capace di svilupparsi e di darci la tangibile prova della possibilità di un’umanità migliore. […] Il bambino costituisce insieme una speranza ed una promessa per l’umanità. Curando questo embrione come il nostro tesoro più prezioso, noi lavoriamo alla grandezza dell’umanità” (in “Educazione e pace”).