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In passato...

Pulire sugli armadi ti fa vedere da un altro punto di vista la tua casa, il tuo ambiente quotidiano e ti fa ritrovare cose dimenticate del passato riposte là sopra per mancanza di spazio. Come bisogna fare di tanto in tanto nella propria vita: rimuovere la polvere e spostare qualche elemento. E ritorni indietro nel tempo!

In passato non c’era la lavatrice ma la levatrice. Non si andava sulla pista ma alla posta. Non c’era il master ma il mastro. Non il virtuale ma le virtù. Non si correva a comprare l’ultimo modello di telefonino ma si correva a rispondere al telefono del vicino. Non le case di riposo per i nonni ma il riposo a casa dei nonni. Non c’era il “coding” per i bambini ma il giocare a fare i conti con i sassolini, le biglie di vetro, i tappi a corona, in dialetto “turturedd”, quel dialetto evocativo, plastico, onomatopeico che non ha nulla a che vedere con i nomi inglesi usati ora. Non c’era bisogno del riciclo perché si rispettava ogni ciclo (altro che ecosostenibilità!). Non il ricorrere al botulino contro le rughe ma al chinino contro la malaria. Non il rifarsi la faccia ma rimetterci la faccia. Non un divano in casa ma, solo per pochi, un bivano come casa. Non c’erano le sale di commiato ma il commiato di tutto il vicinato. Non maschere di bellezza all’argilla ma mani che s’imbrattavano di argilla per farne oggetti necessari per la casa. Non si faceva salotto ma c’era il salotto nella cui stanza non si poteva entrare se non per spolverare o per eventi importanti che non arrivavano mai. Non gatti di razza nutriti con croccantini e crocchette, ma ogni razza di gatto che entrava in casa dal buco quadrato nella porta o nel muro dello stipite della porta e mangiava topi e quello che trovava. Non ci si spalmava la bava di lumaca ma si mangiavano le lumache e ci si leccava baffi e mani nel succhiarle dai gusci senza far caso ad alcun galateo. Non c’era la mamma definita casalinga ma la mamma che aspettava a casa e quando, da piccolini, ci si appoggiava sul suo grembo per addormentarsi, si sentiva l’odore di candeggina dalle sue mani che avevano appena finito di fare il bucato o altre pulizie. Nelle famiglie del passato si pativa la fame, in quelle attuali si patisce spesso la fame d’amore, ascolto e attenzione! In passato c’era quel che c’era perché si era!

La giornalista Luisa Santinello scrive: “E con buona pace di oro e gioielli, non c’è niente di più prezioso del nostro passato. Perché solo guardandoci indietro possiamo davvero andare avanti”. E già, il passato (come il paese nativo o la famiglia d’origine) non si può cancellare, non si cancella. È quel cancello da cui siamo usciti, è quel cancello che, cigolante e arrugginito, rimane socchiuso per poter passare e attingere i ricordi o semplicemente fermarci, ritrovare la nostra dimensione, la nostra infanzia sulla sediolina impagliata nella casa della nonna, lì al solito posto, accanto al camino o alla stufa a legna in ghisa smaltata. Il posto designato a noi e che ci aspetta per darci un po’ di tregua nella corsa del presente.

Girarsi verso il passato, inseguirlo, pensare di rimediare, rimuginare... è come cercare le proprie orme dopo essere passati sul bagnasciuga. Come un ritorno fugace al paese nativo e alle cose di famiglia. Strade dissestate per arrivarci, natura più verdeggiante del solito per le piogge abbondanti o tutto inaridito per la siccità. All’arrivo ragnatele dappertutto, insetti morti, macchie di umido, pareti scrostate (quasi a rappresentare come ci si sente dentro), polvere fitta, porte che si aprono con difficoltà, senso di abbandono... Il passato non è mai come lo si è lasciato o come si continua a coltivarlo nella più profonda memoria perché sono venuti a mancare quelli che lo hanno costruito e custodito con cura, quella cura che non c’è più e che ritrovi solo nella levità e nel tepore delle lacrime che bagnano i ricordi. “Passato” contiene “pasto”, perché è come un pasto: una volta consumato non esiste più com’era, ma rimane e continua a far parte di noi.

Oggi la rimozione definitiva delle cabine telefoniche in città non è solo la rimozione di elementi dell’arredo urbano. È la rimozione di un punto di riferimento, di ricordi, dove si aspettava a lungo e nel frattempo “si attaccava bottone” con gli altri astanti o ci si scontrava con gli immancabili maleducati, ci si riparava dalla pioggia, si faceva finta di parlare per sfuggire alle attenzioni di qualcuno, si facevano scherzi telefonici, si interrompevano bruscamente le conversazioni quando finivano le monete o i gettoni a disposizione: un vero teatrino di vita, vita verace. La loro rimozione, come la rimozione di tanto altro (fontanini, edicole, chioschetti, comode pensiline), è un taglio con il passato, una cesura con la continuità della storia. Chi l’avrebbe mai detto!

Talvolta un bel ricordo è quello che ruminiamo del passato per riempire il nostro stomaco vuoto di belle emozioni presenti.

Allora non ci resta che volgere le spalle al passato e puntare l’obiettivo della macchina fotografica verso nuovi orizzonti, anche se apparentemente aspri e impervi.