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Il diritto matrimoniale oggi

Abstract: Il contributo propone una rilettura degli articoli del codice civile fondativi della vita coniugale scandagliandone i significati più profondi

Premessa

L’amore (che è cosa diversa dalla passione o dal sesso) duraturo è possibile se si fa il proprio possibile di giorno in giorno e insieme. Nella buona e nella cattiva sorte è fattibile se ci si impegna e ci si sostiene a vicenda essendo consapevoli che l’autunno della vita e le anomalie non si possono evitare ma affrontare insieme.

La rondine e il rondone sono simili, da lontano o agli occhi degli inesperti sembrano uguali, possono pure incrociarsi in volo o su qualche ramo, ma restano differenti o, meglio, diversi (per esempio la rondine è guardinga, il rondone è capace di dormire anche in volo). Immagine di alcune coppie, che possono pur durare apparentemente per anni, ma non significa che siano fatti l’uno per l’altra per affinità dell’essere e comunione di vita. Anzi, significa che uno dei due reprime la propria natura e ne soffre intimamente con sofferenza anche di qualcun altro che gli vuole bene veramente. L’amore: dapprima il piacere di trovarsi e scoprirsi, poi la forza di ritrovarsi e riscoprirsi.

 

1. La trilogia nel codice civile

Coppia duratura: impegno nella quotidianità e nonostante l’imprevedibilità degli eventi, per godere della bellezza del risultato, come nel lavoro edile.

Vengono in aiuto gli articoli 143, 144 e 147 cod. civ., letti durante il rito del matrimonio, che sono l’abbiccì della vita coniugale e si possono considerare i vertici da congiungere per costruire tra i due il triangolo dell’amore di coppia, della vita di coppia.

Tra le più rilevanti innovazioni normative introdotte dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, vi sono le locuzioni “Dal matrimonio deriva” del 2° comma dell’art. 143 e l’incipit del 3° comma “Entrambi i coniugi sono tenuti”, mentre il previgente art. 143 cominciava con “Il matrimonio impone ai coniugi”. “Entrambi” (che è differente da “ambedue”) significa letteralmente “fra tutti e due” e, quindi, indica una relazione; “tenere” (da cui deriva “tenace”) avrebbe la stessa radice di “tendere” e di “stendere”, che suscita l’idea di “avvicinare la mano, trarre a sé”: quel “tenere” che genera l’obbligo di “mantenere” la relazione. Quella mano con cui si fa lo scambio delle fedi durante il matrimonio e che bisogna continuare a porgere durante il percorso matrimoniale per sostenersi e non per atti di violenza. Sposarsi non è concludere un contratto di matrimonio ma contrarre matrimonio ed è una scelta, una manifestazione di libertà tutelata anche nell’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Libertà di sposarsi che non esisteva in passato e che non esiste ancora presso alcune culture. Una scelta di vita importante non solo per gli interessati ma anche per gli altri, anche per questo sono richieste delle “condizioni necessarie per contrarre matrimonio” (artt. 84 e ss. cod. civ.): “La salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri,

essendo capaci di prendere decisioni e di avere il controllo sulle diverse circostanze della vita, garantendo che la società in cui uno vive sia in grado di creare le condizioni che permettono a tutti i suoi membri di raggiungere la salute” (nel paragrafo “Entrare nel futuro” della Carta di Ottawa per la Promozione della Salute, 1986).

Edoardo e Chiara Vian, esperti di famiglie in difficoltà, spiegano: “Le coppie che vivono bene insieme, infatti, non sono uguali (che noia!), ma sono composte da persone che sono state capaci di leggere le dissomiglianze dell’altro come un appello alla propria missione a crescere nell’amore. L’altro non è una risposta al mio bisogno di appagamento, ma una domanda a me stesso, una chiamata a uscire dal mio egocentrismo infantile per divenire un essere umano adulto, capace di donare. Ciò non significa sopportare passivamente il limite dell’altro. Anzi. Amare a volte vuol dire pungolare, spronare, accompagnare l’altro a uscire dal suo guscio protettivo (il pulcino deve rompere il guscio per vivere)”. Vita coniugale non è accomodarsi, adattarsi all’altro, ma avvicinarsi e armonizzarsi all’altro. Non è scendere a compromessi ma elevarsi a obiettivi comuni. Non è sopportare l’altro, ma supportare, sostenere, sollevare l’altro, anche in eventuali cadute, malattie, fallimenti. Non è mitizzare o minimizzare l’altro, ma misurarsi con l’altro (ricordando che l’etimo di “mensa” è misurare, per cui è importante anche condividere i pasti).

Edoardo e Chiara Vian affermano: “Se nella relazione di coppia coltiviamo un atteggiamento attento al 50%, sarà un disastro, saremo dei ragionieri che dovranno mettere tutto in partita doppia: se io ho preparato ieri la cena, stasera tocca a te; se domenica scorsa abbiamo fatto quello che volevi tu, questa domenica decido io. Avremo una relazione da contabili, di una tristezza assordante”. Nella coppia si è coniugi, compagni, conviventi, dove conta il con, fare con, insieme, innanzitutto il rispetto reciproco, ricordando la bella e significativa etimologia di “rispetto”, volgere lo sguardo indietro. Per la coppia coniugale e per quella genitoriale non c’è una ricetta magica ma ingredienti essenziali, quali l’equilibrio e rispetto. Equilibrio e rispetto sono quei valori che ispirano l’educazione, come si ricava dall’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, per cui bisogna prima maturarli in sé per poterli provare verso gli altri e trasmetterli ai figli e alle nuove generazioni in generale.

Edoardo e Chiara Vian aggiungono: “[...] accarezzate, abbracciate, baciate, stringete, coccolate, amate vostra moglie, vostro marito o chi vi sta a fianco, avete solo questa vita per farlo. Abbiamo questa fantastica opportunità, diventare amore attraverso la nostra fisicità, non sprechiamola. Il nostro corpo può amare divinamente”. L’amore di coppia non è solo intesa sessuale, è espressione della propria personalità, della propria libertà, è salute personale e di coppia. Come si legge nella Carta di Ottawa: “La salute è creata e vissuta dalle persone all’interno degli ambienti organizzativi della vita quotidiana: dove si studia, si lavora, si gioca e si ama. La salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri”.

Edoardo e Chiara Vian continuano: “Che «lavoro» fa una persona sposata? Quello di amare il proprio coniuge”. L’obbligo reciproco di collaborazione previsto nell’art. 143 cod. civ. significa che i due coniugi devono compiere un “lavoro di coppia” per far funzionare il matrimonio e la famiglia che ne consegue, come in un passo a due di danza dove ognuno fa la sua parte.

Ancora secondo i coniugi Vian: “All’estremo opposto del principio del piacere […] non vi è il principio del dovere (si deve fare così, non si deve fare così), ma il principio del desiderio. Secondo il principio del desiderio, le mie scelte sono orientate a ciò che mi permette di crescere umanamente. In questo senso, quindi, sarò mosso dai valori che mi abitano e che mi fanno da stella polare per orientarmi verso quel desiderio profondo di vita che vive in me. Mentre il seguire tutte le regole aderendo completamente a esse (cioè il principio del dovere), rispetto allo stesso movente di fondo del principio del piacere (che […] porta al non seguirne nessuna assecondando solo la propria pancia): entrambe le modalità, infatti, evitano di entrare in contatto con quella sofferenza che è necessaria per partorire ciascuno di noi alla vita nuova”. Gli obblighi coniugali reciproci ex art. 143 cod. civ. (in particolare quello di fedeltà) si devono rispettare né per dovere né fin quando dura il proprio piacere, ma perché si desidera rispettarli nella consapevolezza dell’alterità della dimensione della coppia.

Gli esperti Vian: “[…] nelle conflittualità familiari la questione centrale non è la punizione, di sé o dell’altro, ma la misericordia; non è quella di coltivare le proprie offese, ma il riconciliarsi con l’altro e ricominciare, con amore, un’altra volta. Amare è rigenerare infinite volte la nostra relazione ferita”. Una forma di esplicazione dell’assistenza morale e materiale (art. 143 comma 2 cod. civ.) è il “perdono coniugale” (ancor di più nel matrimonio concordatario) che è pure un aspetto del progetto di vita familiare (art. 144 cod. civ.) concordato, cioè “con lo stesso cuore”.

Spesso sposarsi equivale a spossarsi. Per esempio non tutte le coppie sono tali, ma sono persone sole che entrano dalla stessa porta e che, varcata la soglia, continuano a essere sole. La costruzione e la durata della coppia si basano anche sulla consapevolezza: affidamento e affinamento reciproci, tra affiatamento e affaticamento.

Il bioeticista Paolo Marino Cattorini aggiunge: “E non è la sola convivenza fisica che fa l’unione «sponsale», cioè gravida di una promessa (spondére in latino significa promettere). L’anima gemella non esiste a priori. Si diventa una sola carne, decidendo giorno per giorno di lasciarsi prendere dalla storia che ci ha affascinato e che pretende di essere raccontata ancora”. La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha posto come quarto obbligo reciproco coniugale quello della coabitazione (che nella normativa previgente era il primo) non perché sia ultimo, ma perché il coabitare deve (o dovrebbe) significare abitare “insieme” all’altro, abitare nell’altro.

La scrittrice Mariapia Veladiano approfondisce: “Il corpo è coinvolto nella nostra fede come nell’amore, nell’amicizia, in ogni sentimento e in ogni movimento della nostra vita affettiva e spirituale. [...] Non può che essere così: si commuove il corpo, prima del nostro spirito”. Così dovrebbe essere la comunione tra coniugi: quella comunione che si rivendica e di cui ci si accorge quando manca, per cui è causa di divorzio (art. 1 L. 898/1970, cosiddetta “legge sul divorzio”).

Essere coniugi, “uniti dallo stesso giogo”, vivere da consorti, “uniti dalla stessa sorte”: “finché morte non vi separi” è possibile se insieme si va avanti in ogni prova possibile.

Coniugio: non tanto aiutarsi quanto collaborare nelle faccende di casa e nelle vicende della vita, condividere emozioni e situazioni, anche se vissute in maniera separata.

A proposito di solidarietà o assistenza tra coniugi, bisogna ricordare che anche dopo il divorzio l’assegno divorzile ha una funzione solidaristica o assistenziale e che può mutare o cessare solo per giustificati motivi. Tra le tante pronunce in materia, la Cassazione civile ha stabilito, per esempio (sez. I, ordinanza 14 maggio 2024, n. 13192), che l’assegno divorzile può essere revocato all’ex-coniuge che ha ricevuto una cospicua eredità. Il numero crescente di divorzi e i relativi costi (anche personali e non solo economici) deve far maturare la consapevolezza di cosa significhi e comporti il matrimonio.

 

2. Il caposaldo dell’articolo 143

Amarsi, perdere l’io (nel senso di ego e non di identità), prendere il tu, rendere in noi: così l’amore di coppia, l’amore genitoriale, l’amore familiare fonte di qualsiasi altro amore.

Vita di coppia: non rinunce ma rispetto; non compromessi ma comprensione; non sopportazione ma sostegno; non conformazione all’altro ma conforto dell’altro e nell’altro; non attrazione ma attenzione. Così è un sacrificio d’amore e sacralità dell’altro e non un sacrario dell’amore e sacrilegio dell’altro. L’amore non deve essere alienante ma allenante, non allagante ma allargante. L’amore non è un equilibrio ma un’omeostasi, una continua ricerca e regolazione, propria e reciproca e solo da un sano amore di coppia può nascere un sano amore genitoriale

In amore è un continuo incontrarsi, come dal primo sguardo, dal primo contatto, come nel rapporto sessuale. Non è corretto parlare di compromessi perché richiama il mercanteggiare e, alla fine, si rimane compromessi (caricandosi di una zavorra di recriminazioni). Tutto ciò che è umano è difficile ma non impossibile (come l’imparare a camminare) e il difficile comporta scelte e impegno. Non bisogna precludersi e precludere, deresponsabilizzarsi o trincerarsi dietro scuse o altro, altrimenti così comincia l’inghippo. Bisogna, invece, partire e poggiare tutto sul rispetto, perché se si sbagliano le premesse allora sì che si vacilla!

Fra i tre articoli letti nel rito del matrimonio emerge l’art. 143, in particolare il comma 2; l’art. 143 cod. civ. pone i pilastri della vita di coppia che ciascuna coppia può modulare in base alla propria autonomia privata (art. 144 cod. civ.).

Anziché “lista nozze” e “viaggio di nozze” è (o sarebbe) bello testimoniare come il matrimonio possa essere una “lista” e un “viaggio” nella sconfinata quotidianità di situazioni ed emozioni.

Amore di coppia non è dirsi “ti amo” in ogni tempo ma prendersi cura nel tempo e oltre qualsiasi contrattempo. Famiglia, casa familiare: costruire ricordi comuni in un mondo di morbo di Alzheimer generalizzato. Purtroppo sono tante le coppie “che scoppiano” e non quelle “scoppiettanti”, perché sin dall’inizio c’è l’unilateralità della preparazione della lista nozze e del viaggio di nozze che rispondono e corrispondono ai sogni o progetti di uno solo. Relazione di coppia non è né dominarsi né domarsi ma donarsi. Alcuni diritti e doveri reciproci dei coniugi elencati nell’art. 143 cod. civ. cominciano con “co-” (collaborare, coabitare, contribuire) da “con”, dal latino “cum”, “insieme, nello stesso tempo”, come il libero e pieno consenso dato all’inizio (art. 16 par. 2 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani) e che deve permanere tale (libero da condizioni e condizionamenti e pieno di sano amore). Il segreto o l’ingrediente relazionale essenziale tra i coniugi è la cosiddetta amicizia coniugale, come si ricava dalle varie scienze umane che se occupano, tra cui la psicologia del matrimonio: “La relazione di amicizia è il luogo della parità, non ci sono né padri né figli, né terapeuti né clienti, non è il luogo dove il ruolo sociale prende il sopravvento, per cui si riempie l’altro di consigli e divieti, privandolo dell’esperienza centrale dell’amicizia, che è il sentirsi amato per quello che si è e non per quello che si fa. La relazione di amicizia non conosce invidia o gelosia: si tifa per l’altro, le sue vittorie sono le proprie, si lascia sempre libero l’altro di fare il suo cammino ovunque voglia, felici solo di essergli accanto ed eventualmente d’aiuto in qualsiasi modo possibile” (cit.).

Il rapporto di coppia non è una simbiosi ma un’osmosi. Bisogna continuare a essere vasi comunicanti e non chiudersi in uno stesso vaso monofiore in cui il fiore reciso, per quanto bello, è destinato a morire o in realtà è già morto in partenza. Ecco perché nell’art. 143 comma 2 cod. civ. si parla, tra l’altro, di “obbligo reciproco”, “collaborazione nell’interesse della famiglia” e di “coabitazione” proprio perché i coniugi continuano e devono continuare a essere due nell’unità e verso l’unità.

Edoardo e Chiara Vian, corroborati dalla loro esperienza personale di coppia e di supporto alle altre coppie, si rivolgono direttamente alle coppie: “Andate a scuola di tenerezza. Imparate a riconoscere la vostra povertà, la vostra limitatezza. Constatate che non siete come vorreste essere, ma amatevi lo stesso. Abbiate tenerezza per le vostre fragilità (tenerezza, non indulgenza!). Questo vi aiuterà ad averne per l’altro, il quale (ricordatevelo sempre) non è accanto a voi per gratificarvi, ma per farvi crescere nell’amore”. Tenerezza (viene dal latino tenerum, che significa “di poca durezza, che acconsente al tatto”, dunque “sensibile”) per sé e per l’altro è uno dei contenuti da dare all’obbligo coniugale all’assistenza morale e materiale (art. 143 comma 2 cod. civ.), è avere tatto e contatto, avvertire i limiti e non giustificarli ma lavorarli nel crogiolo dell’amore. La tenerezza, a volte, è sconosciuta o trascurata perché richiede “misura” come negli ingredienti di una ricetta culinaria, in particolare nella preparazione dei dolci in cui bisogna saper dosare quel q.b. di sale per esaltare il dolce. La tenerezza è la via di mezzo tra l’ardore degli inizi di una relazione e il grigiore dell’appiattimento quotidiano, è manifestare il tenerci a qualcuno, è il “manu-tenere” la relazione.

I coniugi Vian soggiungono: “Azzerate sempre il contachilometri. La relazione di coppia richiede di iniziare infinite volte. Fate tesoro degli errori, delle incomprensioni e sappiate perdonare voi stessi e l’altro (nella consapevolezza che il perdono è un’esperienza, un viaggio e non un singolo atto di volontà). Ogni giorno è una nuova partenza, in un certo senso un «altro matrimonio» (con la stessa persona!) da celebrare ancora e ancora”. Il legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975 ha spostato l’obbligo di assistenza dall’ultimo posto al secondo (art. 143 comma 2 cod. civ.) aggettivandolo con “morale e materiale” (si noti prima “morale”), anche perché essere coniugi (o conviventi more uxorio) è accorgersi dell’altro, accostarsi, essere accorti, volgergli lo sguardo, porgergli una mano per farlo rialzare da un’eventuale caduta e riavviarsi, pure se con passo claudicante, e continuare a rincontrarsi. Come si esprime la volontà di sposarsi così si può (e ci si deve impegnare a) manifestare la volontà di continuare a sposarsi per rimanere insieme.

Una delle componenti essenziali dell’assistenza morale e materiale tra coniugi di cui all’art. 143 comma 2 cod. civ. è la pazienza. “Pazienza” deriva da “patire” come “passione” e altro, da empatia a compassione (altrettanto necessari in un rapporto di coppia). Pazienza e passione insieme, come nell’abbraccio, come nel tenersi a braccetto.

L’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale dei coniugi si realizza anche nella costruzione della coppia genitoriale in seno alla coppia coniugale e nella vivificazione della coppia coniugale in quanto le due dimensioni non sono coincidenti. Ci vogliono confronto, comunicazione, coraggio, coerenza, commisurazione. Il pedagogista Daniele Novara scrive: “È necessario che i genitori sappiano fare gioco di squadra non solo in funzione dei compiti educativi, ma anche dal punto di vista sentimentale, preservando spazi preziosi dedicati unicamente alla coppia”.

Coppia: quando si è in due si è soli con l’altro o si è insieme all’altro? C’è differenza tra accompagnarsi e farsi compagnia, tra stare e sostare con l’altro, tra coabitare e convivere. Quanta solitudine e quante solitudini anche in famiglia o in apparenti coppie! Per “far funzionare” una coppia occorre che ciascuno metta la propria passione e la propria arte tra similitudini e differenze (è questo il senso dell’art. 143 comma 3 cod. civ.) e non pretendendo l’uguaglianza (come una sorta di “fifty-fifty” o bilanciamento, come quando si discute sul numero delle volte in cui si va a buttare i rifiuti o si cambiano i pannolini ai figli o quante volte andare a pranzo dai genitori dell’uno o dell’altra), che è imprescindibilmente morale e giuridica (art. 29 comma 2 Cost.). Esemplare la danza classica con la sua grazia, la sua disciplina e l’armonizzarsi nei passi a due (la fiducia nel lanciarsi nelle prese, la forza nel fare le prese e l’equilibrio di entrambi).

Vita di coppia: l’altro non è una tessera che deve completare il quadro della propria vita che si ha in mente, ma insieme si deve realizzare un mosaico con le tessere che si hanno a disposizione.

“Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia” (art. 143 comma 3 cod. civ.). Rilevante è l’uso del verbo “contribuire” (altra novità della riforma del diritto di famiglia) che fa venire in mente la capacità contributiva di cui si parla nell’art. 53 Cost. ed evidenzia il valore pubblico del matrimonio e della famiglia: in altre parole, rispettando reciprocamente i diritti e doveri coniugali, si esercita già la cittadinanza attiva in famiglia, nella quotidianità.

“Amore: anche se non provo più qualcosa per te, posso amarti con intelligenza e volontà. L’amore si può imparare” (lo psicologo Ezio Aceti): non a caso il verbo “imparare” contiene “amare”, perché così è.