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Ai figli

Sintesi: È necessario e doveroso dire no ai figli ma è necessario che gli adulti imparino a dire no (dapprima a se stessi)

Abstract: L’atteggiamento tenuto dai genitori nei confronti dei figli non sempre li aiuta a crescere, l’articolo dà conto degli errori più diffusi e offre loro spunti per acquisire una maggiore consapevolezza di come si è con i propri figli

La famiglia è passata dall’essere normativa all’essere affettiva, ma dando solo e indistintamente affetto diventa anaffettiva e anarchica perché si annulla ogni ruolo, ogni confine, ogni differenza e, poi, i figli si perdono nel labirinto della vita e i genitori rischiano pure di trovarseli contro, come spesso avviene. La saggista e storica Lucetta Scaraffia scrive a tale proposito: “La fine dell’alleanza tra insegnanti e genitori va infatti di pari passo con la totale rinuncia delle famiglie a educare i figli, cioè ad assolvere a quel compito, spesso ingrato e sgradevole, di insegnare ai figli la buona educazione, i buoni comportamenti, l’impegno nello studio”.

Scaraffia chiosa: “I ragazzi che senza alcuna fatica hanno avuto tutto quello che desideravano, ogni oggetto che la pubblicità ha loro suggerito di chiedere, che non hanno mai obbedito a una richiesta che non gli garbava, che non hanno rinunciato a niente per ottenere un bene maggiore, sono destinati a una vita di frustrazioni, e queste possono divenire intollerabili”. Prima della riforma del diritto di famiglia del 1975 esistevano gli istituti di correzione per i figli (art. 319 codice civile previgente). Oggi molti genitori non correggono più i figli ma concedono tutto, anzi anticipano tutto senza nemmeno far esprimere ai figli i loro desideri e bisogni “castrando” la loro libertà di espressione (art. 13 Convenzione).

Lo studioso gesuita Giovanni Cucci riporta: “Nel 2013 […], il comico statunitense Luois C. K. (nome d’arte di Louis Székely) spiegò perché non riteneva opportuno comprare un telefonino per le sue due bambine. Tra le varie motivazioni, indicava la necessità di prendere contatto con la tristezza, ascoltandola, senza cercare di fuggirla con espedienti elettronici. Tale valutazione nacque da un’esperienza personale che lo segnò profondamente: «Ho cominciato a sentire quella tristezza e ho afferrato il cellulare, ma poi mi sono detto: “Sai una cosa? Non farlo. Sii triste e basta. Apri la strada alla tristezza e lascia che ti investa come un camion”. Così ho accostato [l’auto] e ho pianto come un disperato […]. Poi però ho cominciato ad avere una sensazione di contentezza, perché, quando ti abbandoni alla tristezza, il tuo corpo produce come degli anticorpi che si precipitano verso i sentimenti tristi. Eppure, solo perché non vogliamo quella prima sensazione di tristezza, cerchiamo di mandarla via con i nostri telefoni. In questo modo non ci sentiamo mai completamente felici né completamente tristi. Ci sembra soltanto di essere soddisfatti dei nostri prodotti tecnologici. E poi… poi si muore. Ecco, questo è il motivo per cui non intendo comprare un cellulare alle mie figlie». Ai figli non bisogna dare tutti i mezzi ma equipaggiarli delle competenze giuste affinché siano capaci di trovare i mezzi necessari, di volta in volta, per andare avanti. “Il bambino possiede in lui delle importanti risorse. Esse si rivelano se egli può dialogare, essere ascoltato con affetto e rispetto, essere difeso. […] Il bambino ha bisogno di essere protetto, nutrito, curato e istruito. Il suo benessere psicologico è altresì essenziale” (dalla Charte du BICE, Paris 2007).

“Impariamo a dire dei “no”. Cerchiamo di non assecondare ogni richiesta o desiderio nell’immediato. Proviamo a motivare il nostro rifiuto in modo tranquillo, spiegando ai bambini che non sempre possono ottenere tutto subito e che è importante comprendere anche le necessità delle persone a loro vicine” (un’équipe di esperti). È necessario e doveroso dire no ai figli ma è necessario che gli adulti imparino a dire no (dapprima a se stessi) e se e quando vanno spiegati o motivati perché i figli devono abituarsi a ricevere no dagli altri, dalla scuola, dalla vita, quei no che non sempre sono seguiti da spiegazioni o motivazioni. Come i divieti del codice stradale vanno rispettati perché dietro c’è una logica che può sfuggire. Nell’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge che bisogna impartire al fanciullo, in modo consono alle sue capacità evolutive, l’orientamento e i consigli necessari all’esercizio dei diritti che gli riconosce la Convenzione, diritti cui corrispondono pure dei doveri, perché questo comporta l’essere cittadini.

Ai figli non si deve dire sempre sì, spianare la strada, difenderli a spada tratta, pianificare gli impegni, accompagnarli da una parte all’altra e altro ancora. Non sono oggetti ma soggetti, non vanno “oggettivizzati” ma “soggettivizzati”, altrimenti significa tarparne le capacità e determinarne l’immaturità. I figli non sono fiori recisi da mettere in un portafiori per porlo dove si vuole e farne quello che si vuole. Non sono piante da appartamento da tenere sul davanzale della finestra per abbellirlo. Né piante da cortile per arricchire il proprio giardino. Sono piuttosto da considerare “rose di Gerico”, soggette a spostarsi, ad aprirsi e chiudersi, pronte ad ogni adattamento e “simbolo di resurrezione, serenità, prosperità e buona sorte” (quello che dovrebbero rappresentare i figli). “Considerato che occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Essere genitori è dare la vita e la propria vita, morire a se stessi per far vivere i figli. I genitori non devono né designare né disegnare la vita dei figli, ma semplicemente consegnarla loro: questa una loro primaria responsabilità perché ne risponderanno per sempre ai figli. Lo psichiatra Paolo Crepet afferma: “Genitori ricchi possono valere due generazioni, genitori geniali invece possono valere quattro generazioni” (in un webinar del 15 ottobre 2021). I genitori non devono dare ma dotare, non devono fornire ma tornire, non devono trasferire ma trasmettere. L’eredità da lasciare ai figli non deve essere il patrimonio ma l’educazione: non cose e case ma il vero senso delle cose e delle case, non cartevalori ma valori, non azioni e obbligazioni ma relazioni ed emozioni. Non a caso l’obiettivo ultimo dell’educazione come enucleata nell’art. 29 della Convenzione è inculcare nel fanciullo il rispetto per l’ambiente naturale, ovvero per tutto e tutti.

Tra le buone pratiche genitoriali vi è il dialogo stando seduti intorno allo stesso tavolo, dove anziché chiedere ai figli “Com’è andata oggi a scuola?” o “Cosa ti sta succedendo?”sarebbe meglio chiedere “Come ti sei sentito oggi a scuola?” o “Cosa stai provando?” (diritto all’ascolto, art. 12 della Convenzione). Si tutela così anche il diritto alla salute dei figli. La formatrice Silvia Iaccarino spiega: “Molti genitori, per esempio, spesso al momento della cena fanno un gioco per cui a turno ognuno racconta una cosa piacevole ed una spiacevole della giornata, partendo proprio da se stessi. Così, parlando prima di sé, da un lato si dà il buon esempio e dall’altro si suscita l’attenzione e l’interesse del bambino, il quale a sua volta inizierà ad aprire i suoi cassetti della memoria ed a raccontare di sé. A questo punto sarà importante che gli adulti accolgano i suoi racconti ascoltando attivamente e dando valore e considerazione alla sua narrazione. In questo modo, tra l’altro, oltre a favorire la comunicazione reciproca, il bambino “guadagnerà” in autostima, sentendosi appunto ascoltato e considerato, elementi che concorrono a produrre un aumentato senso del proprio valore”.

I genitori sono tali rispetto ai figli per cui il loro compito è generare la vita e non generalizzare (come quando parlano banalmente di amore o chiamano tutti indistintamente “amore”), gemmare e non geminare (ovvero non è semplicemente riprodursi). I genitori devono tener conto delle differenze tra loro e i figli, delle differenze tra figli dello stesso nucleo familiare e ancor di più tra quelli nati in famiglie diverse. Non basta decantare l’amore, ma non dovrebbero mai scindere la consapevolezza dalla responsabilità.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro sottolinea: “La salvaguardia della rete di relazioni del bambino o, comunque, della continuità con il mondo dei suoi affetti non è qualcosa in più rispetto alla cura: è già buon accoglimento, rientra appieno nel diritto alla salute che è fisica, psichica e relazionale”. Non esistono il diritto ad avere un figlio né altri diritti verso i bambini ma il contrario, il diritto di ogni bambino ad avere i genitori, relazioni con i nonni, con altre figure di riferimento e che siano sane relazioni ed è questa la sempre nuova cultura dell’infanzia introdotta e promossa dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. Quando si dice di voler bene ai figli o che si tiene ai diritti dei bambini si tenga conto autenticamente di ciò e che non sono vane affermazioni ma è dare voce e vita ai bambini.

Scaparro aggiunge: “[...] diventare viandanti fertili del mondo, cercatori e produttori di senso” (nel libro “Il senno di prima”). Una locuzione che si addice ai genitori che non sono depositari di alcun segreto della vita e non hanno alcuna bacchetta magica per prevenire o risolvere i problemi ma trasmettono la vita e insieme ai figli seguono e danno senso alla vita.

“La nostalgia che ho serbato nel cuore in tutti questi anni è un senso ipertrofizzato dell’infanzia perduta” (lo scrittore russo Vladimir V. Nabokov). Perdere l’infanzia è perdere il meglio della vita, far perdere l’infanzia ai figli è il peggio che si possa fare nella vita, come succede nella violenza domestica, nelle separazioni conflittuali, nella genitorializzazione dei figli e tante altre situazioni.

I figli non devono portare la felicità ai genitori né i genitori devono portare a tutti i costi la felicità ai figli. Bisogna, invece, circondarsi e circondarli di un’atmosfera di felicità, amore e comprensione (come si legge nel Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Genitori: non solo dare alla luce i figli ma dare luce ai figli.