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Sociologia giuridica della vita di coppia

 

 

Sintesi: Cosa significa amare? Significa vedere una persona, una situazione per ciò che sono
realmente
Abstract: L’articolo indaga le dinamiche sotterranee che consentono ai due di fare coppia, di
essere coppia

 

Si tende a parlare della coppia soprattutto “in negativo”, ovvero crisi della coppia, sostegno alla
coppia in crisi, terapia di coppia, oppure aggettivandola, come coppia genitoriale, eterosessuale,
omosessuale, aperta o altro. Occorrerebbe, forse, una maggiore consapevolezza della dimensione
della coppia, anche per distinguerne le varie fasi e per vivere in maniera fisiologica l’avvento delle
crisi che non possono mancare, e consapevolezza pure che le crisi di coppia e la conflittualità
esacerbata causano elevati costi economici, psicologici e sociali.
Innanzitutto bisogna partire dalla concezione dell’amore che non è un sentimento né punto di
arrivo o un obiettivo cui mirare ma l’orizzonte comune e, come l’orizzonte, cambia di volta in
volta. “Cosa significa amare? Significa vedere una persona, una situazione per ciò che sono
realmente, non per come le immaginate. E dare a quella persona e a quella situazione la risposta che
merita” (padre Anthony De Mello, psicoterapeuta indiano). Non innamorarsi della propria idea di
amore riflessa nell’immagine di qualcuno, ma dell’identità dell’altro riflettente amore. Così
nell’amore di coppia, così nell’amore genitoriale, in caso contrario non è amore ma dipendenza
affettiva o peggio (che portano, in casi estremi, allo stalking o a forme di violenza).


Cerimonia nuziale: i due guardano con emozione, si guardano con commozione. Cerimonia ha lo
stesso significato etimologico di sacrificio: “fare cosa sacra”. Quale sacrificio migliore se non
l’amore? Il matrimonio è una continua cerimonia, “atto, azione, pratica sacra”, e non qualcosa a
termine “tanto, poi, ci si può separare”. Non si sta o si vive con una persona o ci si sposa per una
presunta questione di età avanzata, per timore della solitudine, per aspettative altrui, perché ci si
dispiace di lasciare l’altro prima del matrimonio di cui non si è più convinti, perché l’altro più o
meno piace, per sogni infantili, per progetti fasulli, per “chiodo schiaccia chiodo” o altro ancora. La
vita di coppia e in coppia è una scelta, una scelta determinata ma non mirata, una “continua” scelta
dell’altro e “contigua” all’altro, frutto del leggere innanzitutto in se stessi e nel separare la parte
migliore dalla peggiore, dell’eleggere il bene per sé e per l’altro (dal significato etimologico di
“scegliere”), senza trascurare le conseguenze evidenti o latenti nelle vite delle altre persone, a
cominciare dai bambini. Il matrimonio (o una convivenza stabile) non è una “sistemazione” ma
dell’amore un “sistema d’azione”: non è un gioco di parole ma come fare della vita in due uno dei
più bei giochi di vita.
“Il matrimonio è creare una terza persona” (dal film drammatico “The danish girl”). Il
matrimonio è un percorso: coppia coniugale, famiglia, coppia genitoriale, eventuali figli. Passaggi
da tenere presenti e distinti in ogni momento, anche e soprattutto nei casi di conflittualità.
Metamorfosi i cui passaggi si evincono pure dai tre articoli del codice civile letti durante il rito del
matrimonio, gli articoli 143, 144 e 147. La vita coniugale è una staffetta o corsa ad ostacoli, le cui
“regole del gioco” sono scritte prevalentemente negli articoli del codice civile letti, non a caso,
durante il rito del matrimonio.


“Diventare una carne sola” non è tanto un fatto fisico quanto una dimensione spirituale: vivere nella
stessa sfera d’amore pervasivo e effondente. Questa la vera e auspicata sublimazione della coppia.
Lo studioso gesuita Giovanni Cucci scrive: “La testimonianza di una sposa indiana, che qui
riportiamo, può apparire lontana dalla mentalità occidentale, eppure rivela una verità preziosa, più
volte emersa in queste pagine. L’impegno può generare un amore capace di dare stabilità alla
relazione, consentendo alla coppia di provare una soddisfazione che dura nel tempo: «Noi basiamo
il nostro matrimonio sull’impegno rappresentato dalle promesse matrimoniali, non sui sentimenti.
Altrove, dove il matrimonio si basa sui sentimenti, cosa succede quando questi diminuiscono? Non
ti resta niente per tenere il matrimonio unito»” (in “La coppia e la sfida del tempo”, ottobre 2016). I
“segreti” della durata di un matrimonio sono altresì quegli obblighi indicati dall’art. 143 comma 2
cod. civ.. Ogni coppia ha un proprio equilibrio, ma è anche vero che la bilancia non può avere i
piatti in perfetto equilibrio né tantomeno un piatto che pende sempre da una parte: i piatti devono
oscillare nella ricerca dell’equilibrio ogni giorno. È un equilibrio con l’altro non per cercarlo
nell’altro, ma dopo averlo trovato in se stessi per donarselo reciprocamente: fare coppia, essere
coppia. Anche questo il senso dell’essere coniugi, etimologicamente “uniti dal giogo”: il carro si
porta avanti insieme.


Dagli artt. 143 e 144 cod. civ. si ricava una “dimensione domestica” della coppia e della
famiglia, come base e cemento della vita personale e interpersonale e la cui mancanza è spesso
causa di incomprensioni, allontanamenti e crisi. Dimensione domestica che si concretizza in
piccoli gesti: stare di più in casa, dedicarsi alle pulizie, non programmare necessariamente week end
o vacanze fuori che possono essere più stressanti del lavoro quotidiano, ritrovarsi a tavola solo in
due e non con ospiti. Anziché confidarsi con altri, bisognerebbe comunicare di più nella coppia, nel
bene e nel male.


“Devi aprire tu. Ci hai portati in questo rifugio che hai costruito per noi contro i tornado. Ma ora la
tempesta è finita. So che hai paura di spalancare la porta, ma non posso farlo io per te. Non sarebbe
la stessa cosa. Sono tua moglie e qui c’è tua figlia. Stiamo dalla tua parte. Vinci la paura, te ne
prego. Non credere ai rumori di acqua e vento che ti picchiano nella testa. Basta con le maschere
antigas, basta col buio, l’isolamento, l’immobilità. Fuori forse ci sono già il sole e l’azzurro che ci
aspettano. Usa quella chiave. Puoi farlo. Devi farlo” (dal film “Take shelter”). Quello che ci si
dovrebbe dire in una coppia dopo una tempesta di qualsiasi natura. La vita di coppia dovrebbe
essere così: pur non avendo gli stessi interessi, gli intenti da perseguire e i passaggi da seguire
dovrebbero essere gli stessi, altrimenti ci si perde di vista come spesso succede. L’amore non è un
compromesso con l’altro, né una gabbia con l’altro o dell’altro. La coppia non diventi cappio: non è
solo un gioco di parole, ma per alcuni diventa vita in gioco.


Coppia, da “attaccare, legare, congiungere”: così si cade e ci si rialza insieme. La mancanza di
comunicazione, alla lunga, causa la lacerazione della relazione. Il filosofo francese Jacques Maritain
richiamava: “Non bisogna confondere amare con cercare di piacere”. “Amare” ha lo stesso numero
di lettere e iniziale e finale come “avere”, perché amare è avere in sé e con sé tutto quello di cui si
ha bisogno e non il piacere effimero o il possesso fisico: questo dovrebbe essere il progetto di una
relazione d’amore e l’orientamento dell’educazione sentimentale da trasmettere non solo agli
eventuali figli ma alle nuove generazioni in generale.


“Solo, dunque, finché morte non mi separi. Questo è il prezzo, suppongo, che si deve pagare a
questo mondo per aver voluto essere libero. È caro o a buon mercato, mi domando? Dovrei ridere o
piangere? Chi lo sa! Ad ogni modo, non me ne sono mai crucciato, finché ero in vita. E ora è troppo
tardi per fare i conti. Ma forse ci si può domandare se libertà e solitudine non vanno mano nella
mano a questo mondo, così come appare, se si vuole rimanere un essere umano” (lo scrittore
svedese Bjorn Larsson). Così nella coppia bisogna conservare sempre uno spazio di libertà e
solitudine: fondersi ma non confondersi, appartenersi ma non possedersi. Resistere fa parte
dell’esistere, del coesistere con gli altri, dell’insistere avverso le difficoltà. Stare insieme è una
continua “elezione”, non una continua condanna: così la vita di coppia.


“Prendimi per mano e insegnami ad imparare di nuovo quello che ho disimparato [...] prendimi per
mano e dimostrami che non è finita” (cit.). Abbandonarsi all’altro e sperare in altro: anche questo è
prestare e prestarsi assistenza nella coppia (art. 143 comma 2 cod. civ.), sino a rivolgersi ad una
figura professionale, se e quando necessario e non a ogni piè sospinto. Perché delegare ogni
situazione o problema ad altri farebbe venir meno la propria dimensione personale e interpersonale.
Dopo uno smarrimento, l’amore è avvicinarsi in silenzio dentro spazi vuoti cercando di chiudere le
brecce al passato. “Coppia” è diverso da “paio”: è quell’unione, quel legame in cui anche se si
perde uno, c’è l’altro che rimane, aspetta chi si smarrisce o lo va a cercare.
“Arriveremo con quanto di prezioso abbiamo, le molte ferite della nostra storia. Le ferite ci hanno
scavato. Ci hanno costretto a prendere distanza dalla ricchezza esteriore. La realtà più preziosa che
abbiamo è un cuore che è capace di amare. Le ferite ci hanno messo in contatto con il nostro cuore”
(lo scrittore Bruno Ferrero). Quando in una coppia non ci si comunica più le reciproche ferite ma ci
si accanisce a procurarsene altre, non resta altro che andare via attraverso quella feritoia aperta nel
cuore per amore di se stessi e della vita, che è sempre più bella e nuova rispetto allo sprecarsi o
ripiegarsi in un amore finito.


“Gli ultimi momenti di un essere amato possono essere l’occasione per spingersi il più lontano
possibile insieme a quella persona, in un’intimità e in una profondità in certi casi mai raggiunte
prima – per la psicologa e psicanalista francese Marie de Hennezel –. Si crede di conoscere tutto
dell’altro, ed ecco che si scopre ciò che non si sarebbe mai sospettato, emergono tesori di umanità.
Nonostante le piaghe della malattia, l’essere umano ha ancora qualcosa da trasmettere” (in “Morire
a occhi aperti”, 2014). La morte, fisica o interiore, nella vita di coppia è una delle situazioni più
importanti in cui accostarsi all’altro, mettersi alla sua scuola, concretizzare ripetutamente e
strenuamente l’assistenza morale e materiale (art. 143 comma 2 cod. civ.), vivere la formula “finché
morte non ci separi” espressa durante la celebrazione del matrimonio concordatario.


Coppia, coniugio: continuare ad abbracciarsi, a sentirsi e mantenersi uniti, nonostante i
cambiamenti, oltre i turbamenti, negli essenziali ed esistenziali momenti. Una coppia non è fertile
se genera figli, ma genera se è fertile d’amore e vita: questo è “fare l’amore”, questo è il distintivo
della coppia.