Abstract: L’articolo mette in luce le lacune nel rapporto genitori – figli evidenziando l’esigenza sociale che gli adulti assumano consapevolmente il proprio insostituibile ruolo educativo
Attualmente molti esperti di scienze umane, dal diritto alla pedagogia, si occupano della genitorialità. Tra questi lo psicoanalista Massimo Recalcati: “Il mestiere del genitore non può essere ricalcato su di un modello ideale che non esiste. Ciascun genitore è chiamato a educare i suoi figli solo a partire dalla propria insufficienza, esponendosi al rischio dell’errore e del fallimento. […] I genitori peggiori – quelli che fanno più danni ai loro figli – non sono solo quelli che abbandonano le loro responsabilità, evadendo il compito educativo che spetta loro, ma anche quelli che misconoscono la loro insufficienza. […] Nell’attualità non prevale tanto il genitore-educatore, ma il suo rovescio speculare: la figura del genitore-figlio. Si tratta di quei genitori che abdicano alla loro funzione, perché sono troppo prossimi, troppo simili, troppo vicini ai loro figli. […] si assimilano simmetricamente alla giovinezza dei loro figli” (in “La confusione delle generazioni - Il compito dei genitori” da “Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre”, 2013). Sempre più genitori sono “genitori-figli”: piangono quando i figli devono essere sottoposti ai vaccini, sono turbati quando vedono piangere i figli nel momento del distacco all’ingresso nella scuola dell’infanzia, hanno gli stessi gusti musicali dei figli sin da piccoli e così via. Sono invalse l’adultizzazione dei bambini e l’infantilizzazione degli adulti, nonostante gli accorati appelli inascoltati degli esperti. I genitori, invece, devono porsi in una posizione asimmetrica. Devono innanzitutto avere la consapevolezza dell’essere genitori che comporta essere educatori (che richiede il correggere e l’intervenire) dei propri figli e non amici (che sono complici e ammiccanti). Si ricavano varie indicazioni anche dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, in particolare dall’art. 18 relativo al ruolo dei genitori, ove si parla di “allevamento” e “sviluppo” del bambino: i genitori devono avere la posizione e la forza di tirare su e fuori e per questo occorre essere “più alti” e “più grandi”.
La situazione giuridica della potestà genitoriale è stata sostituita (ed esautorata) dalla responsabilità genitoriale. La responsabilità, oltre ad essere una figura giuridica, è la capacità di dare risposte di vita, risposte alla vita. Presuppone coscienza, consapevolezza, contezza di sé, in altre parole adultità della propria personalità e anche del rapporto di coppia. “Il dolore, il male e la morte in sé sono forme di tradimento della promessa che la vita porta in sé. Promessa di giorni buoni e pieni di senso da trascorrere nella serenità possibile. Solo dentro questa promessa possiamo generare figli e speranza” (la scrittrice Mariapia Veladiano).
Si potrebbe parlare di una sorta di responsabilità pre-genitoriale. “Innamorarsi della persona sbagliata se non è una colpa, è comunque una responsabilità!” (la scrittrice Ilaria Guidantoni, a Matera il 29-11-2013). A ogni libertà corrisponde altrettanta responsabilità, anche quella di procurare sofferenze ad eventuali figli e al resto del parentado.
La disciplina della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio, formulata negli artt. 315 e ss. cod. civ., come novellati dalla L. 10 dicembre 2012 n. 219 “Disposizioni in materia di riconoscimento di figli naturali” che ha eliminato la potestà genitoriale e determinato la riforma della filiazione, sembra rispecchiare il “principio responsabilità” del filosofo tedesco Hans Jonas, secondo cui, tra l’altro, la relazione genitori-figlio è l’archetipo della responsabilità non reciproca, per cui le future generazioni non hanno la possibilità di esercitare un contro-potere di compensazione in quanto qualunque cosa facciano, metteranno in atto la legge imposta alla loro esistenza dal potere che ha governato il loro ingresso nel mondo. Stando a questa teoria, ai genitori, quindi, non sarebbe più attribuita alcuna potestà perché i figli sono i titolari del potere della vita e detentori del futuro ma nulla toglie che essi siano tenuti al rispetto, come si ricava dall’art. 315 bis ultimo comma cod. civ.. I figli devono condurre la propria vita come un’automobile nella quale, però, devono sempre volgere lo sguardo agli specchietti retrovisori.
Lo psicologo e psicoterapeuta Osvaldo Poli spiega: “Non si può fare il genitore di chi si rifiuta di riconoscersi figlio. Eppure, esiste un modo di amarli, nonostante tutto, dentro il dolore dell’impotenza … Si può essere sereni anche nel dolore, perché la serenità non dipende dagli esiti (quelli dipendono dal figlio), ma dal proprio dovere compiuto fino in fondo. Invece di corrergli dietro, ci si dispone ad attenderlo, nella speranza sempre viva che le circostanze della vita lo aiutino a capire ciò che non ha voluto apprendere. C’è molto amore nell’attesa” (in “Aiuto, ho un figlio impossibile. Come sono i caratteri difficili e come si gestiscono”, 2019). Essere genitori è aspettare e non aspettarsi e, purtroppo, la novella legislativa del decreto legislativo 28 dicembre 2013 n. 154, abolendo ogni riferimento alla potestà e riferendosi solo alla responsabilità genitoriale (art. 316 cod. civ. come sostituito) ha caricato ancor di più i genitori esponendoli a critiche e rivendicazioni dei figli, “giudici inclementi e inappellabili”.
Il filosofo canadese Jean Vanier afferma: “La relazione è una ferita, ma noi nasciamo da essa”. Ai figli, e in genere ai bambini, bisogna prevenire ma non impedire le ferite, da quelle fisiche a quelle relazionali, perché la storia di ognuno è tracciata anche da ferite. “Ogni bambino ci dice a suo modo la bellezza e le ferite della vita e ci richiama alla nostra responsabilità” (dalla Charte du B.I.C.E., Parigi, giugno 2007).
“Noi siamo le api dell’invisibile. Noi raccogliamo disperatamente il miele del visibile per accumularlo nel grande alveare d’oro dell’invisibile!” (il poeta Rainer Maria Rilke, in una lettera
del 1925). Basta una parola per portare nella vita degli altri un po’ di miele o un’altra parola per portare fiele: così la sensibilità e la responsabilità dei genitori, “api dell’invisibile” nella vita dei figli e nella vita in generale.
“Ritrovare il senso della responsabilità personale, e insegnarla ai più piccoli, è la più grande sfida di questo secolo” (lo scrittore Bruno Ferrero). Vivere è con gli altri. Con gli altri si manifesta la propria personalità e si sperimenta la propria libertà. Responsabilità è saper esprimere la propria personalità e gestire la propria libertà. Non è vero che non si fa niente o non si può fare niente nella vita degli altri; con la propria vita si incide sempre nella vita degli altri, con l’esserci o col non esserci, nel bene e nel male: a cominciare dai genitori e soprattutto genitori e educatori, che sono i primi e più significativi a dare e dire la vita e della vita.
Il bioeticista Paolo Marino Cattorini scrive: “La miseria, la fame, la malattia, il confino trasformano a volte le vittime in carnefici. Si trova sempre qualcuno più fragile, su cui riversare le torture subite. Il compatimento retorico non è l’atteggiamento educativo consigliabile verso chi si vendica cinicamente e brutalmente dei torti patiti nella lotteria naturale e sociale. Si può uscire da questa deriva morale? E come”. Bisogna credere e investire di più nelle relazioni umane, nell’infanzia dell’umanità.
“La nostra responsabilità è quella di non fingere. Non possiamo essere qualcosa che non siamo” (cit.). Essere se stessi: le foglie fanno le foglie fino alla fine, anche quando ormai secche e trasportate dal vento, allietano le giornate autunnali con i loro colori. Così genitori e figli restano tali, nelle gioie e nei dolori. Di questo devono avere consapevolezza tanto i genitori quanto i figli.
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 22541 del 10 settembre 2019 relativa a un episodio di bullismo, sulla responsabilità gravante su genitori dei minori ai sensi dell’art. 2048 cod. civ., ha chiarito che la prova liberatoria loro richiesta dal terzo comma della norma codicistica coincide con la dimostrazione: a) di aver impartito al minore una educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari; b) di aver esercitato su di esso una vigilanza adeguata all’età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un’ulteriore o diversa opera educativa. A tal fine, si legge nell’ordinanza, non è certamente necessario che il genitore provi la costante ininterrotta presenza fisica accanto al figlio (pena la coincidenza dell’obbligo di vigilanza con quello di sorveglianza di cui all’art. 2047 cod. civ.). Occorre, piuttosto, che per l’educazione impartita, per l’età del figlio e per l’ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l’ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano costituire fonte di pericoli per sé e per i terzi. Altrettanto, precisa la Cassazione, appare del tutto irrilevante che il fatto illecito si sia svolto lontano da casa, giacché l’obbligo di vigilanza per i genitori del minore capace non si pone come autonomo rispetto all’obbligo di educazione, ma va, piuttosto, correlato a quest’ultimo. I genitori, ovvero, devono attivarsi affinché l’educazione impartita sia consona e idonea al carattere e alle attitudini del minore e che quest’ultimo ne abbia “tratto profitto”, ponendola in atto, in modo da orientarsi (quell’orientamento di cui si parla nell’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) a vivere autonomamente, ma correttamente. La Corte di Cassazione ha rimarcato, perciò, la fondamentale e insostituibile funzione educativa dei genitori e la loro responsabilità non solo “endofamiliare” ma “esofamiliare”, una vera responsabilità “sociale” e non solo “civile”. Dall’educazione dei genitori dipende anche il “diritto al futuro” dei figli e conseguentemente il futuro di tutti.