Abstract: L’articolo si propone di indicare agli adulti il percorso da seguire per non intrappolare i bambini nei loro schemi preconfezionati ma condurli e accompagnarli alla piena realizzazione di se stessi
A causa dello stile di vita odierno (uso incessante di device, maggior parte del tempo passato fuori casa, figli unici, individualismo,…) aumentano il malessere, l’incomunicabilità, disturbi della personalità e di altra natura.
Si trascura quella che è la principale forma di prevenzione e che è la relazione alla base di ogni altra relazione umana: l’educazione. Relazioni fondamentali e imprescindibili come dichiarato nella Carta di Ottawa per la promozione della salute (1986), in particolare: “Gli inestricabili legami che esistono tra le persone e il loro ambiente costituiscono la base per un approccio socio-ecologico alla salute” (obiettivo che è nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile).
Una delle branche delle scienze umane che si occupano di queste tematiche è la pedagogia interculturale i cui esperti, tra cui Agostino Portera, affermano che perseguire obiettivi educativi a lungo termine in una società «liquida», che vive tutto a breve termine, e contribuire alla formazione dell’identità personale e culturale senza provocare crisi di identità o generare conflitti ma trasmettendo ai ragazzi «la consapevolezza delle proprie radici», è la sfida più impegnativa cui sono chiamati oggi insegnanti ed educatori riscoprendo i vari significati scientifici di “identità”, “conflitti” e “radici”; si pensi, per esempio, alla rilevanza dei concetti di “identità”, “conflitti” e “radici” nella psicogenealogia. Concetti altrettanto espressi nell’art. 29 lettera c Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: “[…] inculcare al fanciullo il rispetto dei genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del Paese in cui vive, del Paese di cui è originario e delle civiltà diverse dalla propria”. Solo un albero ben coltivato, con radici profonde e ben irrorate, può essere poi potato e/o innestato. Come richiama la pedagogista Luigina Mortari: “Pensare al bambino come ad un essere mancante di certe capacità o pensarlo, invece, come una persona intera le cui forme dell’esserci sono già tutte presenti seppure in forma germinale e attendono solo di essere nutrite ha implicazioni rilevanti nel modo di intendere la cura educativa” (in “La filosofia della cura”, 2015). Educare è avere cura dell’essere, creare e preservare il ben-essere: “cura”, “benessere” e altre espressioni introdotte per la prima volta in maniera specifica in un atto normativo nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, si veda innanzitutto l’art. 3.
Anche Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, sottolinea l’importanza delle radici: “La ricerca di radici è uno dei motivi fondamentali dell’esistenza umana. Dovremmo fare in modo che anche ai minori privi di radici venga offerta la possibilità di crearsene di nuove”. Le radici servono per cominciare e continuare, per attingere ed elevarsi, per divenire unici e uniti. Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si menziona il termine “identità” per due volte, come uno dei diritti personalissimi (o diritti della personalità) nell’art. 8 e come obiettivo dell’educazione nell’art. 29 lettera c; è, pertanto, una delle più grandi responsabilità degli adulti.
Il pedagogista Daniele Novara afferma: “[…] si parla tanto con i bambini e i ragazzi, è diventato un obbligo essere espansivi, chiacchierare, discutere. La faccenda funziona finché resta nei binari dell’educazione, viceversa diventa un equivoco quando i genitori non considerano l’età dei figli e suppongono che i loro discorsi debbano essere presi alla lettera e gestiti come parole uscite da persone già adulte. In questo modo i conflitti diventano inevitabili”. Non a caso nell’art. 12 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si precisa “[…] dando alle opinioni del fanciullo il giusto peso in relazione alla sua età ed al suo grado di maturità”.
Sul ruolo educativo dei genitori la saggista Lucetta Scaraffia scrive: “[…] il tempo che abbiamo a disposizione, nonostante l’allungamento della vita, non è poi così lungo: o fai una cosa o ne fai un’altra. La vita quotidiana è piena di piccole scelte che influiscono sul nostro futuro. E quei ragazzi che sprecano la vita nelle notti di sballo […] mi fanno solo una pena infinita perché so per esperienza che solo pochi di loro riusciranno a riprendersi da un inizio così povero e negativo. E sono furiosa, sì, furiosa con tutti quei genitori che permettono ai figli di rovinarsi la vita, perché non sanno fare la fatica di dire dei no. Perché non vogliono fare gli educatori, ma pensano di essere i proprietari di un oggetto gratificante”. Dire no ai propri figli non è solo educativo, ma anche doveroso perché il no fa parte della vita, a cominciare dal concepimento in cui solo uno spermatozoo ce la fa e agli altri viene detto no dalla vita stessa. “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).
Secondo il filosofo Adriano Fabris: “Abbiamo paura di rimarcare differenze e specificità anche quando esse riguardano l’essere umano. Pare che sia meglio arrenderci all’indifferenza. E questo paradossalmente accade proprio quando, nel mondo, ciascuno – collettività, gruppi, individui – tende invece a rimarcare la propria differenza dagli altri e manifesta il diritto a rivendicarla pubblicamente: sia essa religiosa, etnica, oppure sessuale. Fino alla parcellizzazione estrema. Fino all’indifferenza che, paradossalmente, è generata dal proliferare di tutte le possibili differenze. Se le cose stanno così, si comprende il motivo del nostro disorientamento riguardo a noi stessi, con tutto ciò che comporta. E allora diventa indispensabile tornare a riflettere su quello che siamo e che possiamo essere”. I bambini hanno bisogno e devono essere educati alle differenze. Oltre alle motivazioni psicologiche e sociologiche vi sono quelle giuridiche che si possono ricavare, tra l’altro, dall’art. 7 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia ove si legge “acquisire una nazionalità” che è una delle prime specificità che caratterizza ogni persona. Nel successivo art. 8 della Convenzione vi è scritto “il diritto del fanciullo di conservare la propria identità, nazionalità, nome e relazioni familiari”. I due verbi usati “acquisire” e “conservare” inducono adulti e istituzioni a riflettere.
A proposito di educare alle differenze, uno degli errori educativi più frequenti è chiedere ai bambini quale genitore o nonno o insegnante preferiscano. I bambini vanno educati ad accettare e non a selezionare, ad accogliere e non a respingere, come si evince pure dall’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.
Sull’educazione alle differenze di genere Lucetta Scaraffia sostiene: “Non basta dire agli uomini che devono cambiare: bisogna prepararli fin da piccoli, in famiglia e a scuola. E alle ragazze va insegnato che l’eguaglianza sessuale per loro può essere una trappola, perché in tale ambito sono diverse dagli uomini. Quando l’ideologia prende il sopravvento sulla realtà a pagare sono sempre i più deboli. Lo insegna la storia”. Significativo è quanto scritto nell’art. 29 lettera d della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: “preparare il fanciullo a […] uguaglianza tra i sessi”. “Uguaglianza tra i sessi” non è “uguaglianza dei sessi”: il “tra” prelude a una relazione interlocutoria, continua e costruttiva con persone portatrici di differenze. Sulla sensibilità degli uomini: “Quando gli uomini parlano in nome e per conto delle donne, riescono a dire cose che una donna non riuscirebbe a dire” (cit.). Uomini e donne sono “differenti”, “che portano da una parte all’altra”, e non “diversi”, “che volgono in opposta direzione”, e solo insieme possono “scrivere” bei versi: in tal senso deve essere orientata l’educazione sentimentale e sessuale.
“Testiamo le nostre emozioni lasciando per una volta le briglie sciolte al desiderio. Soprattutto non esageriamo con le pretese verso noi stessi. Teniamo in serbo il nostro rigore per quando ci sarà da lottare” (lo scrittore Simone Perotti). La propria conoscenza è la base per ogni educazione, ancor di più dell’educazione emozionale e socio-affettiva (in altre parole quella educazione all’affettività, generalmente demandata alla scuola).
Lo psichiatra Eugenio Borgna spiega: “Ci sono emozioni forti ed emozioni deboli, virtù forti e virtù deboli, e sono fragili alcune delle emozioni più significative della vita. Sono fragili la tristezza e la timidezza, la speranza e l’inquietudine, la gioia e il dolore dell’anima. E in cosa consiste la loro fragilità?”. Fragilità: un aspetto su cui interrogarsi e confrontarsi nell’educazione per non tirare su persone apparentemente forti ma fragili e non resilienti né empatici, come “cubetti di ghiaccio” (che si sciolgono) o “thermos” (con isolamento termico). Conoscere i propri limiti, lati oscuri e fragilità, fa affrontare le situazioni, emergere risorse inesplorate e relazionarsi meglio con gli altri.
E il miglior mezzo educativo è e rimane l’esempio (etimologicamente da “trarre fuori”, come uno dei significati etimologici di “educazione”) – da sempre sostenuto dai pedagogisti –, che è confortante, edificante, itinerante, nell’educazione o ogni altra situazione (altresì nella fede, da non trascurare per lo sviluppo spirituale). “Gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo ad un livello di vita sufficiente a garantire il suo sviluppo fisico, mentale, morale e sociale” (art. 27 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Vivere in un certo modo indica, indirizza e insegna a vivere in quel modo.
Da bambini si impara l’alfabeto delle lettere ma crescendo si disimpara l’alfabeto dei gesti di vita: l’educazione emotiva e affettiva vale e serve a tutte le età.
Il vero specchio dell’anima non è uno sguardo qualunque ma quello dei bambini, i quali scrutano, percepiscono ogni sfumatura e rivelano aspetti spesso sconosciuti agli adulti stessi. I bambini hanno bisogno di educazione emozionale? Non proprio: gli adulti hanno il compito di incanalare e salvaguardare le innate e spontanee emozioni dei bambini, esemplari in tutto, nel bene e nel male, perché forieri di vita e di quel che è la vita. Peccato che crescendo ci si dimentichi di essere stati bambini, semplici e genuini!