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La Carta dei diritti della bambina: l’influenza nel sistema giuridico

Abstract: L’articolo rilegge un documento di rilevanza internazionale alla ricerca della vera bellezza espressa ed esprimibile da ogni bambina

Fantasia, intuito, sensibilità, vigore volitivo e operativo, capacità e forza comunicativa, disponibilità alla donazione di sé e al servizio: le qualità che dovrebbero caratterizzare la femminilità e che la donna dovrebbe mettere a frutto per “distinguersi” (e non dividersi o altro) dall’uomo e per arricchire l’uomo e rivelargli il bello e il nuovo della vita e non il contrario o altro, come talvolta succede. È questa “l’educazione alla femminilità” che bisognerebbe trasmettere, anche a titolo preventivo, come è in nuce nella “ratio legis” della nuova Carta dei Diritti della Bambina (approvata il 30 settembre 2016 durante la Conferenza Europea di Zurigo delle Presidenti delle Associazioni femminili europee, mentre la precedente Carta risaliva al 1997), un atto non prescrittivo ma con una essenziale valenza giuridica e culturale, con una funzione di promozione di quella profonda cultura europea e mediterranea tutta (basti pensare alle donne dell’antico Egitto, ad alcune figure femminili nella Bibbia come Ruth e Maria, al mito di Antigone, alla divinità Minerva) e in linea con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

L’articolo 1 della nuova Carta dei Diritti della Bambina recita: “Ogni bambina ha il diritto di essere protetta e trattata con giustizia dalla famiglia, dalla scuola, dai datori di lavoro anche in relazione alle esigenze genitoriali, dai servizi sociali, sanitari e dalla comunità”. È quanto ha affermato anche lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro: “Non è sufficiente riconoscere quanto male sia stato fatto, ieri ed oggi, alle donne e quali vantaggi il mondo ricaverebbe dalla loro liberazione. Occorrono fatti: in famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella ricerca scientifica, nell’espressione artistica, in politica, ovunque bisogna favorire l’affermazione piena della donna, avvalendoci tutti, finalmente di una risorsa preziosa: la sua differenza e la sua specificità”.

Anche la giornalista Mariapia Bonanate sostiene: “La donna va protetta, riconosciuta nei suoi diritti e qualità, non solo una volta all’anno ma tutti i giorni dell’anno, affrontando con gli strumenti, istituzionali, culturali, sociali, i problemi che continuano a penalizzarla pesantemente. E devono proprio essere per prime le donne, in rete fra loro, a chiederlo con la consapevolezza che sono loro a salvare il mondo. Lo dimostrano di continuo con splendide testimonianze troppo spesso ignorate”. Essere donna è un “peso specifico”, è un onere e un onore cui educare ed essere educate/i.

Far mancare la protezione e il trattamento con giustizia ad una bambina è perpetrare una violenza attuale o potenziale, perché la violenza è ciò che opprime, distrugge, piega, è una “non cultura”. La violenza sulle donne può essere insita e insidiosa in ogni ambito, dalla famiglia sino alla cultura in 

generale, per cui occorre una cultura che sia veramente tale, che sia civiltà, che sia cittadinanza senza l’aggiunta di aggettivi quali attiva, solidale o altro.

Un altro articolo della Carta che offre più spunti di riflessione è l’art. 6 secondo cui ogni bambina ha diritto “di ricevere informazioni ed educazione su tutti gli aspetti della salute, inclusi quelli sessuali e riproduttivi, con particolare riguardo alla medicina di genere per le esigenze proprie dell’infanzia e dell’adolescenza femminile”.

A proposito della sfera sessuale lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro scrive: “Un soggetto prepubere non è in grado di compiere scelte libere e consapevoli in campo sessuale. Al momento della nascita, il bambino, del tutto dipendente dall’adulto, è affidato alla responsabilità di chi di lui cura. Crescendo, acquista più autonomia e indipendenza e, dunque, spazi maggiori di responsabilità. È sempre più in grado di operare scelte consapevoli, ma la capacità di compiere decisioni nella sfera sessuale è tra le ultime a essere raggiunta. Essa presuppone non soltanto una maturità fisiologica, ma anche quella psicologica, che consente di muoversi, senza perdersi, nel gioco più o meno sottile della seduzione, spesso scambiata per normale manifestazione di affetto”. “Sesso”, etimologicamente da “tagliare, separare”, è “ciò che distingue l’uomo dalla donna”. Per poter separare, distinguere occorre conoscere e conoscersi, per questo nell’art. 6 si enuncia “il diritto di ricevere informazioni ed educazione su tutti gli aspetti della salute, inclusi quelli sessuali e riproduttivi, con particolare riguardo alla medicina di genere per le esigenze proprie dell’infanzia e dell’adolescenza femminile”, diritto che, conseguentemente, è anche il diritto di ogni bambino.

Su quest’aspetto lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni precisa: “Manca la testimonianza del presupposto di ogni incontro tra le persone, che è la considerazione di ciascuno come persona e non come cosa. Da qui nasce il rispetto dell’altro, del suo corpo come dei suoi sentimenti. Solo su queste basi si può parlare non solo di amore, ma anche di sessualità. E di stati emotivi terribili come la vergogna e la violenza subita o compiuta, che sono così difficili da pensare e quindi da dire. Fa riflettere come i gesti sessuali siano così spesso accomunati alla parola “violenza”. Come se il desiderio sessuale di alcuni venisse rafforzato dalla sofferenza di chi, nella grande maggioranza dei casi donna, subisce questi gesti, dalla sua ribellione, dal suo pianto e dal suo dolore. Imporsi con la forza fisica o con la forza del gruppo è un atto talmente vile che la vergogna dovrebbe appartenere a chi compie questi gesti. E invece colpisce le vittime e le spinge a sottomettersi ulteriormente”.

Incisivo quello che afferma la storica e saggista Lucetta Scaraffia: “Ma la cosa più terribile è che le donne che affittano l’utero, attraverso la firma di un contratto, non solo devono rifiutare già da prima qualsiasi diritto sul bambino che porteranno in grembo, ma sono anche costrette ad abortire se i committenti cambiano idea o se il feto risulta «danneggiato». Per fortuna, almeno una parte delle femministe si è resa conto che si tratta di un nuovo e terribile sfruttamento del corpo 

femminile, una nuova schiavitù, e ha condannato questo commercio. Ma c’è ancora chi pensa sia legittimo, almeno nel caso in cui avvenga in modo volontario, senza passaggio di denaro. Come se tutto ciò che si trasmette, dal punto di vista biologico e psicologico, tra una donna e il feto che cresce nel suo grembo, non conti niente, che la donna sia un mero contenitore. Non si tratta quindi solo di una gravissima forma di sfruttamento, ma di una pericolosa negazione del valore della maternità e quindi, ancora una volta, della donna”. Riprodursi è “prodursi di nuovo”, quindi qualcosa che viene da sé ed è di sé, non è un semplice fatto, ma è un’esperienza, anzi una relazione che coinvolge l’intera persona e in tal senso occorre educare.

Ancora la storica Scaraffia: “Come si insegna la prevenzione nei confronti delle malattie, delle infezioni, a cominciare dalla semplice ma essenziale prescrizione di lavarsi le mani quando si rientra a casa, così bisogna insegnare a evitare le situazioni critiche, i momenti pericolosi. Ma, chissà perché, di fronte al pericolo di violenza contro le donne questa elementare regola di buon senso non vale più: dietro alla condanna di chi invita le donne a prevenire l’aggressione evitando di uscire sole di notte, magari non tanto in grado di difendersi né di ragionare perché in preda ai fumi dell’alcool o, peggio, di accettare passaggi o comunque proposte da parte di sconosciuti, si vuole sempre vedere un retrogrado antifemminista. Un nemico della libertà delle donne, del loro diritto di comportarsi come gli uomini”. Bisogna educare ad essere donne, “signore, padrone della vita”, e non tanto ad essere femmine: questa la vera femminilità. Come hanno sempre fatto e fanno, contro ogni difficoltà, le donne africane: “Si dimostrano affidabili, responsabili e coraggiose, capaci di abbracciare con entusiasmo il cambiamento, se necessario a garantire il futuro dei figli. È la forza generativa del femminile, che non delude mai” (la giornalista Sabina Fadel). Anche le donne occidentali si devono riappropriare del “bello” (nella cui etimologia c’è un’origine dal concetto di “bene”) dell’essenza femminile sin dall’infanzia.

La sessuologa belga Thérèse Hargot spiega: “[…] la liberazione sessuale, slogan assodato e ripetuto a partire dagli anni Sessanta, è stata tutto tranne che una liberazione. Anzi, essa è divenuta il nuovo tabù intoccabile del nostro tempo, con ricadute pesanti per chi, come l’adolescente, si confronta con le problematiche affettive e sessuali. In questa mentalità, la donna si trova «plasmata» secondo gli standard maschili (anch’essi del tutto discutibili), che identificano la realizzazione con il successo professionale. Da più di cinquant’anni siamo impregnati di un femminismo di fatto materialista perfettamente accordato alla società individualista e consumista che è la nostra. Una bella alleanza, inattesa ma tenace! Da qui il sacrificio di aspetti essenziali della donna, come la maternità, ridotta a un ostacolo o a un affare privato, da portare (eventualmente) avanti in totale solitudine” (in “Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)”, 2017). La femminilità non è non deve essere un’arma a 

doppio taglio, ma è e deve essere fonte di vita e amore, genialità di emozioni e originalità di soluzioni.

La sessuologa Hargot chiosa: “Il «diritto di disporre del proprio corpo» ha fatto del bambino una proprietà della donna […]. Le donne sono isolate, il legame sociale è spezzato. Tale mentalità ha eroso anche l’identità maschile: il padre risulta essere il grande assente o è del tutto marginale”. Bisogna comprendere e far comprendere che la maternità non è solo un’esperienza personale ma interpersonale, se non sociale.

A completamento dell’art. 6, l’art. 7 stabilisce che ogni bambina ha il diritto “di beneficiare nella pubertà del sostegno positivo da parte della famiglia, della scuola e dei servizi socio-sanitari per poter affrontare i cambiamenti fisici ed emotivi tipici di questo periodo”. Nelle parole del bioeticista Paolo Marino Cattorini: “Il tempo della crescita è irreversibile: si diventa donna rinunciando a essere una perenne adolescente che carezza ancora l’eccitazione febbrile delle prime prove sentimentali”.

A chiusura della nuova Carta si legge nell’art. 9 che ogni bambina ha il diritto “di non essere bersaglio, né tanto meno strumento, di pubblicità per l’apologia di tabacco, alcol, sostanze nocive in genere e di ogni altra campagna di immagine lesiva della sua dignità”. Formulazione ben più dettagliata rispetto all’art. 9 del testo precedente: “Non essere bersaglio della pubblicità che promuove il fumo, l’alcool e altre sostanze dannose”. Nel nuovo testo attirano l’attenzione le locuzioni “strumento”, “apologia” e “ogni altra campagna di immagine lesiva della sua dignità”, ciò che si dovrebbe contrastare e che, invece, esiste in ogni ambito. In particolare l’apologia è il contrario della protezione e del trattamento con giustizia enunciati nell’art. 1. Quell’apologia che ha portato all’ipersessualizzazione o erotizzazione, estetizzazione, spettacolarizzazione, culto dell’immagine, precocizzazione di tutto tanto che si è avuto un abbassamento dell’età di molte esperienze o fasi nella vita di una bambina, dal menarca precoce alla richiesta della chirurgia plastica al seno per i 18 anni.

“Ama chi dice all’altro: tu non puoi morire!” (il filosofo francese Gabriel Marcel). L’amore non è né sesso né possesso. L’amore è consesso e contesto di anime, consenso e compenso di vite. Perciò l’amore che si manifesta patologico, possessivo o ossessivo non può essere amore, non è amore, ma egoismo, insano e malsano egoismo. Ed è in tal senso che bisogna educare e deve essere educata ogni bambina e educato ogni bambino nell’amore e all’amore, innanzitutto per se stessi e poi per l’altro e ogni altro che rimane altro da sé.

Dalla lettera-testamento spirituale dell’attrice Audrey Hepburn: “La bellezza di una donna non è nei vestiti che indossa, nel suo viso o nel modo di sistemare i capelli. La bellezza di una donna si vede nei suoi occhi, perché quella è la porta aperta sul suo cuore, la fonte del suo amore. La bellezza di una donna non risiede nel suo trucco, ma nella sua anima. È nella tenerezza che dà, nell’amore, nella passione che esprime. La bellezza di una donna cresce con gli anni”. 

Lo ius novum dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile

Abstract: L’articolo presenta un breve commento agli obiettivi principali della Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 25 settembre 2015

1. Lo sviluppo secondo l’Agenda

La parola “terra” fa rima con “serra” e contiene “arte”: la terra è una serra di cui prendersi cura con arte, l’arte del vivere, perché a nessuno appartiene ma le si appartiene e insieme la si mantiene.

Rispettare la Terra è rispettare se stessi. Bisogna tenere conto anche delle “nuove forme di disagio psicologico scatenato dalla crescente consapevolezza dei problemi ambientali e del cambiamento climatico. Coloro che soffrono della denominata eco-ansia, infatti, possono provare sentimenti di impotenza, tristezza o rabbia di fronte agli impatti distruttivi delle attività umane sull’ambiente. Questa ansia deriva anche dalla frustrazione verso le risposte politiche e sociali che possono apparire inadeguate o troppo lente” (cit.). Così si applica l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile di cui si parla tanto ma di cui si ignorano il contenuto e la portata.

Il 25 settembre 2015 l’Italia ha sottoscritto la Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU, intitolata “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”, denominata comunemente “Agenda 2030”, in cui sono riassunti tutti gli impegni internazionali, anche precedenti, per lo sviluppo sostenibile in 17 obiettivi e 169 target o sotto-obiettivi.

Si possono leggere i capisaldi aggiungendo il pensiero di esperti sulle relative materie.

“Persone: […] assicurare che tutti gli esseri umani possano realizzare il proprio potenziale con dignità ed uguaglianza in un ambiente sano” (dal Preambolo dell’Agenda 2030). La dignità, per tre volte menzionata nell’Agenda, è il primo valore umano e richiama i principali atti internazionali, quali la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. Oggi la dignità umana è sempre più minata e la sua tutela richiede ancor di più prevenzione e sinergia, soprattutto per le insidie del mondo online caratterizzato da forme di “povertà e fame”. “Il danno più grave connesso con l’abuso online è che questo materiale rimarrà accessibile per sempre. Esistono senz’altro misure in grado di sopprimere una foto o un video, ma è sufficiente che una persona abbia scaricato il materiale sul proprio computer affinché esso possa essere pubblicato nuovamente. La persona che ha subìto l’abuso viene quindi sottoposta a molteplici sofferenze; non può sapere chi ha accesso a questo materiale e chi possiede una sua foto molto intima”.

“Prosperità: Siamo determinati ad assicurare che tutti gli esseri umani possano godere di vite prosperose e soddisfacenti e che il progresso economico, sociale e tecnologico avvenga in armonia con la natura” (dal Preambolo dell’Agenda 2030). Sin dagli albori, dopo la soddisfazione dei bisogni primari l’uomo ha teso verso l’armonia, letteralmente “accordo, proporzione”, tanto che “armonia” ha la stessa radice etimologica di attività umane quali l’arare, l’arte, l’aritmetica. Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, chiosa: “Al di là della mera dimensione estetica, il bello esercita un effetto positivo sul nostro equilibrio psico-fisico. Perché, quando viene da dentro, richiama un concetto morale di ordine e armonia imprescindibile”.

“Pace: Siamo determinati a promuovere società pacifiche, giuste ed inclusive che siano libere dalla paura e dalla violenza. Non ci può essere sviluppo sostenibile senza pace, né la pace senza sviluppo sostenibile” (dal Preambolo dell’Agenda 2030). La pace è l’obiettivo che rappresenta il superamento, la sublimazione della natura animalesca e aggressiva dell’uomo, che conosce e riconosce l’altro, che non lo deve temere ma tenere con sé, non lo deve avversare ma conservare per sé, perché da ogni altro dipende la propria vita. E in questo riveste un ruolo fondamentale l’educazione che non è repressione o oppressione, ma presenza di un educatore e preparazione di un educando e viceversa e, pertanto, una relazione. La cosiddetta eclissi dell’idea di autorità, dal verbo latino “augere”, “far crescere”, ha portato effetti nefasti. Fulvio Scaparro, psicologo e psicoterapeuta, mette in guardia: “Non liquidiamo alcuni gravi episodi mettendo in campo la solita «teoria dei quattro gatti» ignoranti che non sanno quel che dicono. Certi eventi meritano vigilanza, controllo e pensieri non frettolosi”.

“Deliberiamo […] di proteggere i diritti umani e promuovere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne e delle ragazze” (Agenda 2030, n. 3). In questa proposizione e in tutto il testo dell’Agenda non si parla di diritti delle donne e di protezione delle donne, bensì si rimarca la necessità di promuovere l’emancipazione e la distinzione tra donne e ragazze. In questo processo rivestono un ruolo di protagonismo le donne stesse che devono essere le prime a emanciparsi da stereotipi e mode. Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, consulenti familiari e formatori, sottolineano: “[…] è la donna che fa più uomo il suo uomo, è l’uomo che fa più donna la sua donna. Nel rispetto reciproco. Siamo chiamati a celebrare la ricchezza del femminile e del maschile, non a pretendere comportamenti standard in forza di stereotipi vincenti”.

“[…] che tutti i discenti acquisiscano la conoscenza e le competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un educazione volta ad uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile” (punto 4.7 Agenda 2030). “[…] la musica come uno strumento per socializzare, favorire le relazioni e l’integrazione, conoscersi e comunicare, in sintesi crescere. Fare musica con le mamme in dolce attesa, i neonati, i bambini, gli adolescenti e gli adulti, permettere loro di esprimersi attraverso essa, significa formare “persone musicali” capaci di ascoltare, condividere ed emozionarsi. Con la musica la persona vive su di sé la scansione del tempo, il sapersi muovere all’interno di uno spazio condiviso, il rispetto di se stesso, del proprio ruolo e di quello degli altri” (come dicono esperte di musica). La musica, poiché mette in relazione la persona con se stessa e con gli altri, favorisce l’orientamento educativo auspicato dall’Agenda 2030. A maggior ragione bisogna favorire un approccio precoce dei bambini alla musica.

“Immaginiamo un mondo libero dalla paura e dalla violenza. Un mondo universalmente alfabetizzato. Un mondo con accesso equo e universale a un’educazione di qualità a tutti i livelli, a un’assistenza sanitaria e alla protezione sociale, dove il benessere fisico, mentale e sociale venga assicurato” (Agenda 2030, n. 7). I bambini, in particolare, hanno bisogno e diritto di sognare: “[…] il sogno ha un’importante funzione evolutiva. È probabile che permetta di attivare la capacità di imparare a imparare, cioè analizzare le esperienze, i cambiamenti che ci circondano e di adattarci a essi in una sorta di continuo aggiornamento del cervello, come i software dei nostri computer. Un’altra probabile funzione è la rielaborazione continua dei contenuti che apprendiamo durante la veglia, sia consci sia inconsci, favorendo un equilibrio emotivo e di vita fondamentali per ognuno di noi” (Filippo Tradati, medico e docente universitario).

“Il mondo che immaginiamo è un mondo dove vige il rispetto universale per i diritti dell’uomo e della sua dignità, per lo stato di diritto, per la giustizia, l’uguaglianza e la non-discriminazione; dove si rispettano la razza, l’etnia e la diversità culturale e dove vi sono pari opportunità per la totale realizzazione delle capacità umane e per la prosperità comune. Un mondo che investe nelle nuove generazioni e in cui ogni bambino può crescere lontano da violenza e sfruttamento. Un mondo in cui ogni donna e ogni ragazza può godere di una totale uguaglianza di genere e in cui tutte le barriere all’emancipazione (legali, sociali ed economiche) vengano abbattute. Un mondo giusto, equo, tollerante, aperto e socialmente inclusivo che soddisfi anche i bisogni dei più vulnerabili” (Agenda 2030, n. 8). Crescere è diritto e dovere di ognuno. Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni spiega: “La crescita è un’avventura emozionante e attraente per i più, ma è talvolta accompagnata dal timore di perdere per sempre qualcosa. Ad esempio le sicurezze dell’infanzia, quando, al riparo dei genitori, le responsabilità sono poche e tutto sembra facile, dalle amicizie al successo scolastico. Affrontare il futuro vuol dire lasciare le certezze di un mondo conosciuto […] per entrare in una realtà incognita”.

“Potenziare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo” (obiettivo n. 11.4 Agenda 2030). Bisogna rammentare che “patrimonio” è tutto ciò che è lasciato dai padri e che la dicotomia o, addirittura, contrapposizione tra cultura e natura è solo un artificio creato nel tempo dall’uomo stesso, mentre nelle civiltà passate vi era identificazione come si può ricavare dall’arte e dall’architettura. Etimologicamente “natura” deriva da nascere e “cultura” da coltivare: sono così la vita stessa e l’essere umano. Secondo una parte dell’etimologia “uomo” deriva da “humus”, terra: l’uomo deve recuperare questa sua origine e l’umanità, intesa quale insieme delle caratteristiche della specie umana e quale intera famiglia umana. Lo psicoterapeuta Claudio Risé esplica: “Leonardo parlava di «necessità» come «misura e maestra» della vita umana. Per vivere una vita equilibrata non si possono non riconoscere i limiti posti dal mondo naturale attorno a noi, dalla stessa presenza degli altri. E si riferiva anche ai limiti della nostra natura umana, che devono essere affrontati con l’impegno e con la fatica, ma rispettando una natura che rimane sovrastante le nostre capacità, senza rinunciare alla fatica, all’impegno, allo sforzo. Anche perché, senza fatica, impegno, esercizio, alla fine l’uomo perde competenze e capacità. Se usiamo sempre il navigatore per trovare la strada, non saremo più capaci di orientarci da soli”. Cultura e natura, cultura è natura, questa la direzione dell’art. 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Ed anche dell’art. 29 par. 1 lettera e della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, in cui si legge “inculcare nel fanciullo il rispetto per l’ambiente naturale”, a chiusura degli obiettivi educativi.

“[…] dimezzare lo spreco alimentare globale pro-capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura, comprese le perdite del post-raccolto” (obiettivo n. 12.3 Agenda 2030). Interessante la storia dell’alimentazione, per comprendere come il cibo sia stato importante nelle religioni e nelle varie civiltà, come il cibo sia essenziale nello sviluppo psicofisico di ogni persona (a cominciare dall’allattamento materno, di cui si parla pure nell’art. 24 par. 2 lettera e della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), come sia nato e sia stato affrontato lo spreco alimentare sino alla Prima Giornata europea contro lo spreco nel 2010, seguita dall’istituzione, nel 2014, della Giornata nazionale contro lo spreco alimentare e successivamente dalla legge contro lo spreco alimentare, la legge 19 agosto 2016 n. 166 “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”. Il giornalista Matteo Mascia scrive: “[…] oggi sappiamo in modo scientifico che, per esempio, produrre e mangiare carne ha un impatto ambientale, in termini di consumo di terra, acqua e di emissioni, molto maggiore rispetto ad altri prodotti alimentari come legumi, verdura, frutta e gli stessi latticini. […] È del tutto evidente che la nostra dieta dovrà cambiare per ridurre l’impronta ecologica sul pianeta. Anche perché l’alto impatto attuale dei sistemi alimentari non potrà che aumentare come conseguenza del miglioramento delle condizioni di vita e, dunque della dieta alimentare, di molti popoli in Asia, America Latina, Africa. La questione della produzione alimentare va affrontata prima di tutto dal punto di vista della lotta allo spreco alimentare”. 

“Porre fine all’abuso, allo sfruttamento, al traffico di bambini e a tutte le forme di violenza e tortura nei loro confronti” (obiettivo 16.2 Agenda 2030). L’abuso è un uso eccessivo, illecito o arbitrario di qualcosa: ed è quello che si fa con i mezzi digitali e la connessione Internet. “Non si incontrano facilmente genitori che non siano preoccupati per l’uso che potrebbe essere fatto di Internet da parte dei figli, e in particolare per la presenza diffusa sulla rete di immagini pornografiche. Quello che è preoccupante nel privato e per la famiglia, assume dimensioni terrificanti quando si guarda ai numeri globali e ci si rende conto della vastità e della multiformità del problema. […] Si può certamente affermare che Internet offre grandi possibilità, vantaggi e comodità, ma indubbiamente porta anche grandi rischi per la sicurezza, espone a truffe economiche, e a pericoli anche per l’integrità e la dignità delle persone, con speciale riferimento ai bambini, che non dispongono degli strumenti per difendersi. Essi sono così minacciati da nuove forme di abuso, come cyberbullismo (l’uso delle nuove tecnologie per intimorire, molestare, mettere in imbarazzo, far sentire a disagio o escludere altre persone), cybergrooming (adescamento sessuale attraverso la rete), sexting (invio di testi o immagini sessualmente esplicite tramite Internet o telefono cellulare) e sextortion (pratica spesso usata da cyber criminali per estorcere denaro alle vittime: il malintenzionato contatta la vittima, la convince a farsi mandare foto e video sessualmente espliciti e poi chiede un riscatto per non rendere pubblico questo materiale)”.

2. Lo sviluppo oltre l’Agenda

“Ci impegniamo affinché vi sia un’educazione di qualità a tutti i livelli (scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado, università e formazione tecnica e professionale). Tutte le persone a prescindere dal sesso, dall’età, dalla razza o dall’etnia, persone con disabilità, migranti, popolazioni indigene, bambini e giovani, specialmente coloro che si trovano in situazioni delicate, devono avere accesso a opportunità di apprendimento permanenti che permettano loro di acquisire gli strumenti e le conoscenze necessarie per partecipare pienamente alla vita sociale” (Agenda 2030, n. 25). Ci si adopera per la qualità di vita ma non altrettanto per l’educazione di qualità che è alla base della prima. Eloquente la descrizione di Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta: “La scuola non è un luogo di missione, ma di convivenza rispettosa e pacifica, un luogo di co-educazione. E se a davanti a loro ci sono adulti che sanno educare, i bambini non rimarranno confusi”.

Anche in base all’art. 34 Cost. comma 1 bisogna: “Trasformare la scuola in un luogo democratico e aperto; Seguire bisogni e interessi di bambini e bambine; Acquisire competenze nella progettazione dell’ambiente come terzo educatore” (cit.). L’istruzione di qualità richiede agli insegnanti preparazione, progettazione, programmazione, personalizzazione delle attività, sin dalla scuola dell’infanzia, la prima fondamentale scuola che non è basata sull’improvvisazione o solo sul fare il girotondo. Come nella scuola dell’infanzia, tutta la scuola dovrebbe puntare sulla creatività. La creatività è fonte di lavoro e futuro (Agenda 2030, n. 8.3: “la creazione di posti di lavoro dignitosi, l’imprenditoria, la creatività e l’innovazione”). Quel “rinnovamento dell’istruzione” di cui si parlava già nell’“Agenda Seoul: obiettivi per lo sviluppo dell’educazione all’arte” (2010).

Per offrire un’istruzione di qualità tra le varie metodologie si adottano le mappe, tra cui quelle mentali. “Le mappe mentali sono da considerarsi come una tecnica di scrittura visuale per stimolare e mettere a frutto le risorse mentali, le capacità creative e i processi associativi che ci permettono di strutturare e ristrutturare idee” (cit.). Insegnare le (per) mappe mentali corrisponde all’impartire orientamento e consigli per l’esercizio dei diritti dei bambini di cui si parla nell’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, perché rappresentano mappe esistenziali ed essenziali.

Tra le “avanguardie educative” vi è pure l’Outdoor Education (si vedano le “Linee guida per l'implementazione dell’Idea Outdoor Education”, 2023): “Il focus di questo modo di fare scuola, non è tanto il semplice “uscire”, ma il riflettere sulle esperienze svolte in esterno, il che comporta una connessione continua delle varie fasi, fatte di uscite e rientri, teoria e pratica, previsione e progettazione delle esperienze, momenti di monitoraggio, valutazione critica e documentazione, stimolo esperienziale, e altro ancora. La ”Outdoor Education” offre un pensiero pedagogicamente fondato rispetto al valore educativo del rapporto globale tra uomo e ambiente naturale in relazione ai diversi contesti, situazioni, età dei soggetti. Non si tratta di un’ulteriore e separata educazione rispetto a quella tradizionale, ma di una modalità diversa di fare scuola, riconciliando i tempi dell’apprendimento con quelli dell’esperienza, assumendo l’ambiente esterno come normale-naturale ambiente di apprendimento in connessione e continuità con l’ambiente interno” (il divulgatore Claudio Garrone). Non dovrebbe essere necessario parlare di “Outdoor Education” perché, in realtà, dovrebbe essere istruire secondo gli articoli 28 e 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e secondo i diritti naturali dei bambini, e tutta la scuola dovrebbe essere un’outdoor education.

“Ci impegneremo ad assicurare ai bambini e ai giovani un ambiente stimolante per la piena realizzazione dei loro diritti e la messa in pratica delle loro capacità, aiutando i nostri paesi a beneficiare del dividendo demografico attraverso scuole sicure, comunità coese e le famiglie” (Agenda 2030, n. 25). Don Antonio Mazzi, fondatore di comunità di recupero, sui suicidi giovanili: “Quelle morti spiazzano sempre tutti perché non offrono segnali razionali. Bisogna ascoltarli e capirli. […] Improvvisi, nel momento meno immaginabile, mai giustificabili, oppure giustificati con due righe due su un pezzetto di carta. “Ero stufo”, “Non mi piacevo”, “Scusatemi”. Poi arrivano i genitori distrutti, gli insegnanti spaventati, i compagni stravolti. Parliamo sempre delle compagnie 

sbagliate, di anfetamine, dell’alcool, di tutto quello che volete. Ma per qualcuno la vera compagna coccolata, preparata, sognata nel mistero più totale, è lei: la morte”. I giovani hanno bisogno di sprono e speranza: Rosario Livatino, giovane giudice ucciso dalla mafia per fermarlo e metterlo a tacere, ma la sua voce e il suo operato continuano a farsi sentire costituendo un esempio per i giovani, soprattutto in mezzo alle difficoltà. Giovani, fondo di risorse e libertà da custodire e su cui investire: bisogna guardarli di più e aiutarli a guadare la loro vita.

“Lavoreremo per costruire economie dinamiche, sostenibili, innovative e incentrate sulle persone, promuovendo in particolare l’assunzione di giovani impiegati” (n. 27 dell’Agenda 2030). “È triste constatare come, sempre più spesso, persone molto avanti negli anni sembrino incapaci di «lasciare spazio» perché altri possano subentrare. Esse si attaccano con morbosità al proprio incarico, al posto di comando, senza rendersi conto che è giunto il momento di «passare il testimone». Anche questa è una sconfitta educativa, forse la più grave, specie in questa drammatica crisi occupazionale che penalizza i più giovani, pur capaci e in grado di assumere incarichi di responsabilità” (lo studioso gesuita Giovanni Cucci). Quando si parla di “solidarietà intergenerazionale” bisogna ricordare che questa presuppone la bilateralità.

“Ci impegniamo a promuovere la comprensione interculturale, la tolleranza, il rispetto reciproco, insieme a un’etica di cittadinanza globale e di responsabilità condivisa. Prendiamo atto della diversità naturale e culturale del mondo, e riconosciamo che tutte le culture e le civiltà possono contribuire a, e sono attori fondamentali per, lo sviluppo sostenibile” (Agenda 2030, n. 36). Si sta passando dalla “società liquida” alla “liquidazione della società”. Per quanto la cultura sia mutevole non si può distruggere e vanificare la “cultura umana”: generare vita e accudire i piccoli, ovvero libertà e responsabilità, due volti imprescindibili e ineludibili dell’amore. Il sociologo Vittorio Filippi commenta lo stato attuale: “Chi si appella alla crisi economica si nasconde dietro una foglia di fico. Il fenomeno della “de-nuzialità”, già rilevato agli inizi degli anni Sessanta, ha radici culturali. Se così non fosse, passata la crisi i matrimoni dovrebbero tornare a crescere, cosa che non credo accadrà. Negli anni Cinquanta del secolo scorso (non a caso soprannominato la golden age del matrimonio) le nozze erano un obiettivo a lungo termine socialmente riconosciuto, oggi invece, in una società liquida che insiste sull’io a detrimento del noi, la coppia è divenuta un qualcosa di sperimentale e individualizzato, che procede per tentativi ed errori. […] Di questo passo, però, si corre il rischio di amare l’idea dell’amore e non la persona in sé, col risultato di incappare in un rapporto competitivo e stressante che, privo del confronto diretto, volgerà inevitabilmente al termine qualora non soddisfi più i diretti interessati”.

La comprensione, la tolleranza e il rispetto, anche etimologicamente, presuppongono l’esistenza di due, di uno e di un altro, dell’alterità e dell’alienità. Sono da tutelare, pertanto, tutte le biodiversità umane, culturali e linguistiche, quale patrimonio immateriale. “Tutto deriva dal delirio di onnipotenza dell’uomo contemporaneo, che proprio perché può fare tutto pensa che non ci siano limiti – denuncia Claudio Risé –: la natura non deve porgli limiti, la fatica e l’impegno personale possono e devono essere evitati, e ogni mio desiderio può e deve avverarsi. Si perde così il rispetto della natura e dell’altro. Ma in questo si paga anche la dimenticanza di Dio, dell’Altro per eccellenza, che è un limite troppo grande per la voglia di onnipotenza dell’uomo contemporaneo. Purtroppo quest’uomo contemporaneo non comunica più con gli altri, vede solo la propria potenza, e quindi non riconosce la dignità dell’altro e della natura, ma ne fa quello che vuole”.

“Decidiamo di costruire un futuro migliore per tutte le persone, compresi i milioni a cui è stata negata la possibilità di condurre una vita decente, dignitosa e gratificante e raggiungere il loro pieno potenziale umano” (Agenda 2030, n. 50). Il futuro, anche se aleatorio, fa parte proprio dell’essere e, anche per questo, si parla di diritto al futuro. Significative, tra le tante, le parole usate nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione” (2012): “[…] aiutare i piccoli a crescere e imparare, a diventare più «forti» per un futuro che non è facile da prevedere e da decifrare”. Matteo Mascia aggiunge: “Il cambiamento climatico è inestricabilmente legato ad altri drammatici problemi globali, come la perdita di biodiversità, la scarsità idrica, l’emergenza alimentare, la riduzione delle terre coltivabili e, di conseguenza, alla lotta alla povertà e alla necessità di garantire un futuro equo e sostenibile per tutti. Per chi vive oggi e per chi verrà domani”. L’anelito al futuro ha sempre caratterizzato l’uomo facendogli compiere grandi opere ed è quella speranza che l’uomo deve riprendersi e ridare superando ogni pessimismo e nichilismo.

“Bambini e giovani uomini e donne sono agenti critici del cambiamento e troveranno nei nuovi obiettivi una piattaforma per incanalare le loro infinite potenzialità per l’attivismo verso la creazione di un mondo migliore” (Agenda 2030, n. 51). “Creazione di un mondo migliore” è da sempre l’orizzonte della filosofia (in primis Leibniz) e delle religioni. Nell’Agenda 2030 non si parla dell’aspetto religioso né sono state coinvolte le autorità religiose (tanto nella formulazione del documento quanto nelle responsabilità che ne conseguono) ma la sostenibilità, in realtà, implica valori religiosi, come il rispetto, la fratellanza, l’intergenerazionalità, la salvezza, la speranza. Perché la religiosità, la spiritualità sono innate nell’uomo e non si può trascurarle per quanto oggi le si ignori. Sono presenti anche nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, dal trinomio “felicità, amore e comprensione” nel Preambolo ai principi e obiettivi educativi espressi nell’art. 29. Perché l’infanzia rappresenta la sostenibilità, il meglio dell’umanità.

Già Maria Montessori: “Il bambino è un embrione spirituale delicato, ma capace di svilupparsi e di darci la tangibile prova della possibilità di un’umanità migliore. […] Il bambino costituisce insieme una speranza ed una promessa per l’umanità. Curando questo embrione come il nostro tesoro più prezioso, noi lavoriamo alla grandezza dell’umanità” (in “Educazione e pace”).

Dalla famiglia alla famiglia

Abstract: Dinamiche intrafamiliari e endofamiliari, alla scoperta delle tante risorse della famiglia

Il sociologo Francesco Belletti osserva: “Il presente e il futuro della famiglia sono messi alla prova da una società sempre più marcatamente post-familiare, che tende a frammentare le famiglie, scomponendole e ricomponendole attorno a un individuo teso a sperimentare tutte le libertà dei “possibili altrimenti” e a creare sempre nuove relazioni, favorite e “accelerate” dalle nuove tecnologie comunicative” (nell’articolo “Il posto della famiglia in una società che vuole fare a meno della famiglia”). La crisi della famiglia non è di natura esogena (o non solo) ma endogena. I singoli membri trascurano “l’interesse della famiglia”, “i bisogni della famiglia”, “le esigenze preminenti della famiglia” (tutte locuzioni introdotte nel codice civile dalla riforma del diritto di famiglia del 1975).

Molte famiglie “si sfasciano” perché non si è più capaci di sostenere un impegno e perché si ama troppo se stessi. Si dimentica che la famiglia (che è più e altro di “genitori” e “padre e madre”) è un diritto fondamentale del bambino, come si ricava espressamente dalla rubrica della legge novellata 4 maggio 1983 n. 184 “Diritto di un minore ad una famiglia” e dall’art. 1 comma 1, ove è scritto che “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”.

La famiglia è la prima e insostituibile “formazione sociale”, ma non unica e sola: da lì si esce e lì si fa ritorno, ma lungo il percorso si incontrano altri soggetti educativi o educanti. La famiglia è la matematica - “arte dell’apprendere” - e la grammatica - “arte della scrittura” - della vita e fornisce la matematica e la grammatica della vita. Famiglia, culla dell’arte: dall’arte del comunicare all’arte del cucinare, l’arte del vivere.

Come base per la famiglia è necessario “che la coppia nuova abbia generato in se stessa delle premesse unitive che le permettano di avere una propria identità con la quale potersi relazionare con quella della famiglia di origine (distante o vicina che sia). Questo non lo si ha normalmente di partenza ma lo si costruisce con il tempo” (Edoardo e Chiara Vian, esperti di problematiche di coppia). L’identità di coppia non è una conquista ma un cammino che si basa sulla conoscenza e sulla consapevolezza che l’identità individuale comprende quella di coppia ma non viceversa. L’identità di coppia è una sfera di comunanza dove, come il letto matrimoniale anche dopo l’amplesso, comunque ognuno occupa il proprio spazio. È quello che si evince leggendo tra le righe gli articoli 143, 144 e 147 del codice civile: vi è distinzione tra coniugi, famiglia e figli.

È rilevante costruire una sana relazione con la famiglia di origine di cui si è portatori non solo del patrimonio genetico. Consentire, invece, a qualcuno di mancare di rispetto (o mancata considerazione, che è la stessa cosa) nei confronti della propria famiglia di origine (o casa di origine) è far mancare e mancare di rispetto verso se stessi, è come farsi cambiare i connotati e falsificare i documenti di riconoscimento. La coppia, prima, e la famiglia, poi, sono innanzitutto e anche una scuola di rispetto.

Uno dei casi più frequenti della conflittualità all’interno delle famiglie è il rapporto inesistente o stridente tra nuora e suocera, perché si è passati dalla sottomissione, in passato, della nuora alla suocera all’eclissamento (o peggio) delle suocere da parte delle nuore. Le nuore ricordino che nell’uomo che hanno accanto, che hanno scelto di tenere a fianco, c’è e ci sarà (anche solo nel DNA) qualcosa di quella donna che lo ha generato e condotto, nel bene e nel male, lungo la via del loro amore. La suocera è innanzitutto una persona e non un titolo da mettere sul tesserino di riconoscimento come nell’ambiente lavorativo. L’educazione sessuale e sentimentale dei figli, potenziali o presenti, passa anche attraverso le relazioni parentali.

“Avere un progetto di famiglia, costruirlo ogni giorno condividendo le fatiche e i sogni, mantenere uno sguardo intergenerazionale ma anche di relazione con l’esterno; riflettere sul proprio ruolo di “famiglia in uscita”, testimoniando la bellezza dell’impegno che si consegna alle nuove generazioni” (dalla presentazione del libro “Sapore di famiglia. Amarsi, educare, aprirsi al mondo”). La famiglia ha bisogno di comunione e comunicazione che si basano anche su piccole e semplici cose, come la commensalità e fare qualcosa in comune (e non tutto, perché in famiglia comunque si conserva e si coltiva una dimensione tutta propria), per esempio guardare insieme la stessa trasmissione televisiva stando stretti sul divano. Gentilezza fa rima con tenerezza, dolcezza, mitezza, bellezza, gaiezza, tutto ciò che si dovrebbe seminare e curare in famiglia donde deriva ogni cosa: quell’ambiente familiare e quell’atmosfera di felicità, amore e comprensione necessari per il pieno ed armonioso sviluppo della personalità del fanciullo (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

I bambini non concepiscono alcuna bruttura, mentre alcuni adulti sembrano capaci solo di brutture. Ci sono focolai di guerra ignorati o nascosti, anche nelle famiglie, in cui i bambini perdono l’infanzia o addirittura la vita.

Il bambino deve essere educato al rispetto (art. 29 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) e ha il diritto di essere ascoltato (art. 12 Convenzione). “Ci sono regole che si possono disattendere. Perché a volte il semplice buon senso deve prevalere su ogni altro aspetto, permettendo così di andare davvero alla «conquista della libertà»” (il giornalista Claudio Imprudente). Le regole in famiglia non sono da imporre o prescrivere ma da condividere, concordare e anche controbattere.

Il pedagogista Daniele Novara: “Sembra aumentare nelle famiglie italiane la voglia di immedesimarsi con i figli. Tutto viene abbattuto per togliere ogni confine, ogni limite, ogni necessaria distinzione tra grandi e piccoli. Si procede con la furia di chi vuole riscattare un’infanzia ritenuta troppo pudica o riservata. E allora: tutti nella stanza dei genitori sul lettone, tutti insieme in bagno, tutti a usare lo smartphone di papà, tutti a guardare lo stesso programma tv, tutti a vestirsi praticamente nello stesso modo. Crescere i figli diventa quasi impossibile. Si finisce impigliati in una vera e propria melassa emotiva immersa in una promiscuità sempre più esibita”. Centrale negli obiettivi educativi indicati nell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia (lettera f) è “inculcare al fanciullo il rispetto dei genitori, della sua identità”. I genitori sono le figure adulte per eccellenza che ci sono già prima (anteriorità) e al di sopra (verticalità) dei figli. È necessario che la relazione sia “asimmetrica” affinché i figli abbiano la spinta e il riferimento per lo sviluppo della loro identità che si costituisce e costruisce proprio al “cospetto” e nel “rispetto” dei genitori in cui i figli si identificano e da cui fisiologicamente si dissociano (proprio come è nel significato di identità). È anche questo il giusto senso dell’autorità genitoriale. Per i bambini, come per ogni persona, esistono altresì i doveri che discendono dai diritti propri ed altrui. In famiglia si deve tornare a educare a fare e a fare bene, a cominciare dal rassettare il letto o piegare il pigiama. I bambini non sono cittadini di domani, sono già cittadini.

Solidità e sostegno e non soldi e sostituzione nelle loro responsabilità: ciò di cui hanno sempre più bisogno i figli durante la crescita (perché lo esige la crescita stessa) ma non sempre le famiglie sono presenti all’appello.

Anagrammando la parola “famiglia” si ricavano: “figlia”, “figli”, “fama”, “ama”, “maglia”, “lama”, “faglia”, “miglia”, “ali”, “magia”. La famiglia è una miniera di risorse. Famiglia è anche salvarsi a vicenda dalle tempeste improvvise e dai problemi quotidiani. Chi sbaglia va comunque amato, ma non giustificato: essere buoni, non buonisti. Così è anche l’educazione in famiglia e della famiglia.

C’è differenza tra fare tutto per essere felici e far di tutto per essere felici. Vivere è semplicemente fare tutto per essere felici: così dovrebbe essere la famiglia. Quanto può fare una singola famiglia e quanto si può fare in ogni singola famiglia, come la famiglia Zen della provincia di Vicenza, dedita alla ripulitura dei cippi commemorativi della Grande Guerra, per volontariato stando bene insieme e facendo del bene.

Famiglia: luogo primario di affetti e effetti collaterali. Famiglia: comune sentire, servire, seguire. 

L’articolo 143 del codice civile nella quotidianità

Sintesi: Il rapporto di coppia non è una simbiosi ma un’osmosi

Abstract: L’articolo cerca di delineare gli aspetti giuridici e metagiuridici del “giogo dell’amore tra coniugi”

“Amore: anche se non provo più qualcosa per te, posso amarti con intelligenza e volontà. L’amore si può imparare” (lo psicologo Ezio Aceti in una lectio magistralis a Matera, il 9 ottobre 2023). L’amore (che è cosa diversa dalla passione o dal sesso) duraturo è possibile se si fa il proprio possibile di giorno in giorno e insieme. Nella buona e nella cattiva sorte è possibile se ci si impegna e ci si sostiene a vicenda essendo consapevoli che l’autunno della vita e le anomalie non si possono evitare ma affrontare insieme.

Vita di coppia: non rinunce ma rispetto; non compromessi ma comprensione; non sopportazione ma sostegno; non conformazione all’altro ma conforto dell’altro e nell’altro; non attrazione ma attenzione. Così è un sacrificio d’amore e sacralità dell’altro e non un sacrario dell’amore e sacrilegio dell’altro. L’amore non deve essere alienante ma allenante, non allagante ma allargante. L’amore non è un equilibrio ma un’omeostasi, una continua ricerca e regolazione, propria e reciproca. Solo da un sano amore di coppia può nascere un sano amore genitoriale e i principi da darsi e seguire sono quelli indicati nei tre articoli letti nel rito del matrimonio, artt. 143, 144 e 147 cod. civ., in particolare nell’art. 143 comma 2. L’art. 143 cod. civ. pone i pilastri della vita di coppia che ciascuna coppia può modulare in base alla propria autonomia privata (art. 144 cod. civ.).

In amore è un continuo incontrarsi, come dal primo sguardo, dal primo contatto, come nel rapporto sessuale. Non è corretto parlare di compromessi perché richiama il mercanteggiare e, alla fine, si rimane compromessi (caricandosi di una zavorra di recriminazioni). Tutto ciò che è umano è difficile ma non impossibile (come l’imparare a camminare) e il difficile comporta scelte e impegno. Non bisogna precludersi e precludere, deresponsabilizzarsi o trincerarsi dietro scuse o altro, altrimenti così comincia l’inghippo. Bisogna, invece, partire e poggiare tutto sul rispetto, perché se si sbagliano le premesse allora sì che si vacilla!

Anziché “lista nozze” e “viaggio di nozze” è (o sarebbe) bello testimoniare come il matrimonio possa essere una “lista” e un “viaggio” nella sconfinata quotidianità di situazioni ed emozioni. Amore di coppia non è dirsi “ti amo” in ogni tempo ma prendersi cura nel tempo e oltre qualsiasi contrattempo. Famiglia, casa familiare: costruire ricordi comuni in un mondo di morbo di Alzheimer generalizzato. Purtroppo sono tante le coppie “che scoppiano” e non quelle “scoppiettanti”, perché sin dall’inizio c’è l’unilateralità della preparazione della lista nozze e del viaggio di nozze corrispondendo ai sogni o progetti di uno solo. Relazione di coppia non è né dominarsi né domarsi ma donarsi. Alcuni diritti e doveri reciproci dei coniugi elencati nell’art. 143 cod. civ. cominciano con “co-” (collaborare, coabitare, contribuire) da “con”, dal latino “cum”, “insieme, nello stesso tempo”: insieme, seguire, accompagnare.

Il rapporto di coppia non è una simbiosi ma un’osmosi. Bisogna continuare a essere vasi comunicanti e non chiudersi in uno stesso vaso monofiore in cui il fiore reciso, per quanto bello, è destinato a morire o in realtà è già morto in partenza. Ecco perché nell’art. 143 comma 2 cod. civ. si parla, tra l’altro, di “obbligo reciproco”, “collaborazione nell’interesse della famiglia” e di “coabitazione” proprio perché i coniugi continuano e devono continuare a essere due nell’unità e verso l’unità.

Edoardo e Chiara Vian, corroborati dalla loro esperienza di coppia e di supporto alle famiglie in difficoltà, si rivolgono alle coppie: “Andate a scuola di tenerezza. Imparate a riconoscere la vostra povertà, la vostra limitatezza. Constatate che non siete come vorreste essere, ma amatevi lo stesso. Abbiate tenerezza per le vostre fragilità (tenerezza, non indulgenza!). Questo vi aiuterà ad averne per l’altro, il quale (ricordatevelo sempre) non è accanto a voi per gratificarvi, ma per farvi crescere nell’amore”. Tenerezza (viene dal latino tenerum, che significa “di poca durezza, che acconsente al tatto”, dunque “sensibile”) per sé e per l’altro è uno dei contenuti da dare all’obbligo coniugale all’assistenza morale e materiale (art. 143 comma 2 cod. civ.), è avere tatto e contatto, avvertire i limiti e non giustificarli ma lavorarli nel crogiolo dell’amore. La tenerezza, a volte, è sconosciuta o trascurata perché richiede “misura” come negli ingredienti di una ricetta culinaria, in particolare nella preparazione dei dolci in cui bisogna saper dosare quel q.b. di sale per esaltare il dolce. La tenerezza è la via di mezzo tra l’ardore degli inizi di una relazione e il grigiore dell’appiattimento quotidiano, è manifestare il tenerci a qualcuno, è il “manu-tenere” la relazione.

I coniugi Vian aggiungono: “Azzerate sempre il contachilometri. La relazione di coppia richiede di iniziare infinite volte. Fate tesoro degli errori, delle incomprensioni e sappiate perdonare voi stessi e l’altro (nella consapevolezza che il perdono è un’esperienza, un viaggio e non un singolo atto di volontà). Ogni giorno è una nuova partenza, in un certo senso un «altro matrimonio» (con la stessa persona!) da celebrare ancora e ancora”. Il legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975 ha spostato l’obbligo di assistenza dall’ultimo posto al secondo (art. 143 comma 2 cod. civ.) aggettivandolo con “morale e materiale” (si noti prima “morale”), anche perché essere coniugi (o conviventi more uxorio) è accorgersi dell’altro, accostarsi, essere accorti, volgergli lo sguardo, porgergli una mano per farlo rialzare da un’eventuale caduta e riavviarsi, pure se con passo claudicante, e continuare a rincontrarsi. Come si esprime la volontà di sposarsi così si può (e ci si deve impegnare a) manifestare la volontà di continuare a sposarsi per rimanere insieme.

Una delle componenti essenziali dell’assistenza morale e materiale tra coniugi di cui all’art. 143 comma 2 cod. civ. è la pazienza. “Pazienza” deriva da “patire” come “passione” e altro, da empatia a compassione (altrettanto necessari in un rapporto di coppia). Pazienza e passione insieme, come nell’abbraccio, come nel tenersi a braccetto.

L’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale dei coniugi si realizza anche nella costruzione della coppia genitoriale in seno alla coppia coniugale e nella vivificazione della coppia coniugale in quanto le due dimensioni non sono coincidenti. Ci vogliono confronto, comunicazione, coraggio, coerenza, commisurazione. Il pedagogista Daniele Novara scrive: “È necessario che i genitori sappiano fare gioco di squadra non solo in funzione dei compiti educativi, ma anche dal punto di vista sentimentale, preservando spazi preziosi dedicati unicamente alla coppia”.

Coppia: quando si è in due si è soli con l’altro o si è insieme all’altro? C’è differenza tra accompagnarsi e farsi compagnia, tra stare e sostare con l’altro, tra coabitare e convivere. Quanta solitudine e quante solitudini anche in famiglia o in apparenti coppie! Per “far funzionare” una coppia occorre che ciascuno metta la propria passione e la propria arte tra similitudini e differenze (è questo il senso dell’art. 143 comma 3 cod. civ.) e non pretendendo l’uguaglianza (come una sorta di “fifty-fifty” o bilanciamento, come quando si discute sul numero delle volte in cui si va a buttare i rifiuti o si cambiano i pannolini ai figli), che è imprescindibilmente morale e giuridica (art. 29 comma 2 Cost.). Esemplari la danza classica con la sua grazia, la sua disciplina e l’armonizzarsi nei passi a due (la fiducia nel lanciarsi nelle prese, la forza nel fare le prese e l’equilibrio di entrambi) e la regia teatrale con il suo estro e il suo coordinamento dal vivo.

Vita di coppia: l’altro non è una tessera che deve completare il quadro della propria vita che si ha in mente, ma insieme si deve realizzare un mosaico con le tessere che si hanno a disposizione. “Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia” (art. 143 comma 3 cod. civ.). Significativo è l’uso del verbo “contribuire” che fa venire in mente la capacità contributiva di cui si parla nell’art. 53 Cost. ed evidenzia il valore pubblico del matrimonio e della famiglia.

Coppia: completarsi a vicenda, ognuno con le proprie caratteristiche, carenze e carezze. 

 

I geni dei genitori

Abstract: L’articolo si propone di dispiegare la natura e le dinamiche del ruolo genitoriale da salvaguardare nella complessità dell’alveo familiare e della quotidianità

1. Essere genitori

In passato si parlava di “madre” e “padre” e di “maternità” e “paternità”, poi si è cominciato a parlare di “genitori” (art. 30 comma 1 Cost.) e a usare l’aggettivo “genitoriale”, ora si parla continuamente di “genitorialità” includendo ogni aspetto, psicologico e giuridico, personale e interpersonale. Cosa caratterizza, cosa riempie questa sfera dagli incerti confini?

Innanzitutto si rimarca che la genitorialità è più del concepire figli, è generatività. “[…] generatività: un termine che va inteso non solo e non tanto in senso biologico, ma soprattutto simbolico. Infatti, per contrastare la tendenza al consumo sfrenato, oggi prevalente, è necessario mettere in campo qualcosa di forte e di profondamente radicato nell’umano, in grado di portarlo a realizzazione. Generare significa entrare in relazione e percepire che proprio nella relazione trova pieno compimento la propria libertà; significa «mettere al mondo» valori da condividere che arricchiscono la vita di tutti. Generatività è anche un atteggiamento di fiducia profonda nell’essere umano, nel futuro e nelle generazioni che verranno, perché significa essere disposti a dedicare la vita «per», anche mettendosi a disposizione di qualcosa che ci supera nel tempo” (dal pensiero dei sociologi Mauro Magatti e Chiara Giaccardi in “Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi”, 2014). I genitori non devono essere solo generatori, ma anche generativi (sul modello dei genitori adottivi). Non devono solo mettere al mondo i figli, ma accoglierli e spingerli nel mondo con il bagaglio giusto per quello che sarà il loro viaggio. Tutto quello che è compreso nel verbo “accudire” usato nell’art. 7 par. 1 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Sino alla riforma del diritto di famiglia del 1975 i genitori esercitavano la loro funzione con autoritarismo (che è differente dall’autorità – dal verbo latino “augere”, accrescere – necessaria per svolgere ogni ruolo di responsabilità) - tanto che il marito era “capo della famiglia” secondo l’art. 144 cod. civ. ante riforma -, avevano potere di correzione (abrogato art. 319 cod. civ.: “Il padre che non riesce a frenare la cattiva condotta del figlio, può, […] collocarlo in un istituto di correzione, con l’autorizzazione del presidente del tribunale”) e i figli dovevano onorarli (art. 315 cod. civ. previgente). Oggi si richiedono autorevolezza o amorevolezza, che lo psicoanalista Massimo Recalcati spiega in tal modo: “L’autorevolezza non è più garantita dalla funzione. Non basta più essere genitori per essere rispettati. L’autorevolezza deve scaturire dal basso, dal gesto, dalla testimonianza. Un genitore autorevole è colui che prova a trarre tutte le conseguenze dalle sue parole”. Il diventare genitori comincia con l’aspettare un figlio e continua con l’imparare a rispettare il figlio come altro da sé ai sensi degli artt. 147 e 315 bis cod. civ.: “[…] nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”. Nell’art. 29 lettera c della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: “[…] inculcare al fanciullo il rispetto dei genitori, della sua identità”. Il rispetto dei genitori è fondamentale per il rispetto di se stessi e di ogni altro soggetto o altra cosa.

Il complesso dei compiti e delle competenze attinenti alla genitorialità è designato come “idoneità”, per cui si parla sempre più spesso, purtroppo, di genitori inadeguati, anaffettivi o altro. Peccato che la valutazione dell’idoneità genitoriale sia prevista solo nella legge sull’adozione e non per tutti i futuri genitori e che sia esaminata giudizialmente solo in caso di problemi (per esempio art. 316 comma 3 cod. civ.).

Sull’anaffettività lo studioso gesuita Giovanni Cucci scrive: “La tendenza alla anaffettività può essere ulteriormente alimentata dalla rivoluzione digitale, che ha evidenziato, insieme a una indubbia gamma di possibilità e risorse, anche nuove forme di trappole per la mente. L’offerta enorme che i social network propongono può essere anche una maniera per sfuggire alla tristezza e all’incapacità di restare soli. Si è già avuto modo di rivelare come la dimensione corporea sia indispensabile per la verità delle relazioni, soprattutto per la capacità di riconoscere ed esprimere i sentimenti. Le ricerche compiute in proposito tra studenti universitari rilevano una preoccupante carenza nelle capacità empatiche (di riconoscere e comprendere uno stato d’animo differente dal proprio), legate in particolare alla grande quantità di tempo dedicata ai mezzi di comunicazione digitale. Questi vengono visti come un modo di fuggire sensazioni spiacevoli, come appunto la solitudine e la tristezza”. I genitori si preoccupano tanto e di tutto ma non di alfabetizzare e fortificare i figli nell’interiorità. “Il suo [relativo al bambino] benessere psicologico è altresì essenziale” (dalla Charte du BICE, Paris 2007).

2. “Dover essere” genitori

L’arrivo di un figlio cambia la vita, ma non l’annienta: si diventa madre e padre, ma non significa che si è solo quello. Non si vive per i figli, ma si vive genitori e figli. Perché si è persone differenti e distinte, destinate fisiologicamente a separarsi, prima o poi. Genitori: dare la pappa, ma non diventare pappamolla né far diventare pappamolla (in particolare il papà). L’obbligo dei genitori di “istruire” previsto nell’art. 30 Cost. e nell’art. 147 cod. civ. comporta quello di “costruire”.

Lo psicologo e psicoterapeuta Osvaldo Poli esplica: “L’onnipotenza infantile è illusoria e può essere tenuta in vita solo al prezzo del “dolore” e del sacrificio altrui. A patto che la mamma, ad esempio si imponga di non essere mai stanca per rispondere a tutte le richieste del figlio, che il papà si sacrifichi ancor di più per venire incontro alle sue esigenze, che i famigliari si adattino a subire degli aspetti più negativi del suo carattere. Solo la rinuncia a tali aspetti infantili rende il figlio capace di vivere nel mondo così com’è, senza che esso sia stato preventivamente “addomesticato”, reso meno gravoso e difficile dal sacrificio materno (e di tutti gli altri). Le fatiche da lui evitate infatti, ricadono inevitabilmente su un’altra persona. L’immaturità consiste esattamente nel pretendere che il mondo intero si comporti come la mamma, che “fa sparire” le difficoltà della vita. Per tale ragione la ferita del padre coincide con la separazione simbolica dalla madre e con tutto ciò che ella garantisce in termini di aiuto, facilitazione, mediazione con le durezze della vita. Ma perché questo accada è necessario che il figlio attraversi l’esperienza della prova, termine messo al bando da una cultura che ha gettato nel discredito la sensibilità educativa maschile” (in “Cuore di papà. Il modo maschile di educare”). “I genitori o le altre persone aventi cura del fanciullo hanno primariamente la responsabilità di assicurare […] le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo” (art. 27 par. 2 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). I genitori non devono dare ai figli la “luna nel pozzo”, ma li devono far crescere cioè far andare avanti, come scritto e prescritto nella vita. E di questo hanno anche una responsabilità “esofamiliare”, perché quei figli sono pure cittadini di una comunità, del mondo.

I genitori non devono fare gli “spazzaneve” (espressione usata, per la prima volta, da una preside inglese nel 2014 per indicare i genitori che spianano la strada ai figli). Con i loro interventi (letteralmente “venire tra, venire in mezzo”) non devono provocare il pianto ma nemmeno prevenirlo, non devono inasprire la realtà ma nemmeno edulcorarla. Devono agire come il liquido amniotico che dà al feto quanto necessario per crescere e attraverso cui arriva tutto dal mondo esterno, anche se in maniera filtrata, così, poi, quando il bambino viene al mondo impara a conoscere e riconoscere tutto col suo corpo, come richiesto nella vita.

Anche lo psicoterapeuta Alberto Pellai chiarisce: “C’è un lungo elenco di azioni ed errori da non commettere con chi sta crescendo. Chiedere i voti degli altri, stilare continue classifiche di merito facendo paragoni, denigrare le prestazioni su un campo da gioco: è così che un bambino impara a sentirsi inadeguato e perde la propria autostima. Il problema non sono gli errori. Ma cosa impariamo di noi quando facciamo quegli errori. Se ci dicono: «Hai sbagliato, ma non preoccuparti, ce la farai» quell’errore ci aiuterà a superare i nostri limiti e a fare meglio in futuro. Ma se dopo un errore ci viene detto: «Sei il solito incapace, non sai fare niente di buono» non potremo che sentirci inadeguati. E alla prossima prova, l’ansia e il senso di inadeguatezza ci porteranno più facilmente a sbagliare di nuovo”. Negli articoli 147 e 315 bis comma 1 del codice civile si prevede che i genitori devono assistere moralmente i figli. Assistere significa anche “guidare” i figli, in altre parole dare impulso al loro percorso, fornire indicazioni, correggere la direzione, frenare quando necessario, ma non deviare o bloccare il cammino che è unico e personale.

Generalmente i genitori fanno figli e fanno per i figli in virtù di un sano egoismo. I figli, il più delle volte, ripagano con insano egoismo, soprattutto con omissioni (mancate telefonate, mancate visite, mancate risposte, mancate attenzioni o reazioni). Quanta miopia o presbiopia esiste nelle relazioni parentali, in primo luogo in quelle fondamentali.

Il pedagogista Pino Pellegrino richiama: “Sta aumentando sempre più il numero dei genitori che stravedono per il loro figlio. Lo considerano intoccabile, infallibile. Gli altri (insegnanti, allenatori…) sbagliano, lui no! Dare al figlio l’idea dell’onnipotenza, della perfezione, è estremamente pericoloso: può preparare un bullo, superbo ed egocentrico; un ragazzo senza amici. Un ragazzo asociale. Un ragazzo triste e solo. Triste, perché solo, e solo, perché triste!”. “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli” (art. 30 comma 1 Cost.). Viene prima il dovere e poi il diritto dei genitori: il dovere è una situazione cui non ci si può sottrarre, cui si è tenuti per sé e per gli altri e di cui si risponde e i primi che chiederanno il conto sono proprio i figli. L’educazione è elencata per ultima non perché sia l’ultimo obiettivo, ma perché è il fine ultimo e permanente dell’agire genitoriale.

“Fate come gli alberi: cambiate le foglie e conservate le radici. Quindi, cambiate le vostre idee ma conservate i vostri principi” (Victor Hugo). Così dovrebbero essere i genitori nei confronti dei figli.

“Noi siamo le api dell’invisibile. Noi raccogliamo disperatamente il miele del visibile per accumularlo nel grande alveare d’oro dell’invisibile!” (il poeta austriaco Rainer Maria Rilke in una lettera del 1925): così l’opera dei genitori.

Essere genitori: vivere e imparare a essere genitori, insegnare ai figli a vivere e a imparare. Genitori: consapevolezza e prodezza.