Sintesi: I due coniugi devono compiere un “lavoro di coppia” per far funzionare il matrimonio
Abstract: Il contributo riesamina i diritti e doveri relativi allo stato coniugale, spesso trascurati nella quotidianità e causa di crisi nella coppia
La rondine e il rondone sono simili, da lontano o agli occhi degli inesperti sembrano uguali, possono pure incrociarsi in volo o su qualche ramo ma restano differenti o, meglio, diversi (per esempio la rondine è guardinga, il rondone è capace di dormire anche in volo). Così alcune coppie, possono pur durare anni ma non significa che siano fatti l’uno per l’altra sulla base di affinità dell’essere e comunione di vita. Anzi, significa che uno dei due reprime la propria natura e ne soffre intimamente con sofferenza anche di qualcun altro che gli vuole bene veramente. L’amore: dapprima il piacere di trovarsi e scoprirsi, poi la forza di ritrovarsi e riscoprirsi. Coppia duratura: impegno nella quotidianità e nonostante l’imprevedibilità degli eventi, per godere della bellezza del risultato, come nel lavoro edile. Gli articoli 143, 144 e 147 cod. civ., letti durante il rito del matrimonio, sono i pilastri su cui costruire la coppia coniugale prima e quella genitoriale poi.
Tra le più interessanti innovazioni normative introdotte dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 vi sono le locuzioni “Dal matrimonio deriva” del 2° comma dell’art. 143 e l’incipit del 3° comma “Entrambi i coniugi sono tenuti”. “Entrambi” (che è differente da “ambedue”) significa letteralmente “fra tutti e due” e, quindi, indica una relazione; “tenere” (da cui deriva “tenace”) avrebbe la stessa radice di “stendere”, da cui nasce l’idea di “avvicinare la mano, trarre a sé”: quel tenere che genera l’obbligo di mantenere e “manutere” la relazione.
Edoardo e Chiara Vian, esperti di famiglie in difficoltà, spiegano: “Le coppie che vivono bene insieme, infatti, non sono uguali (che noia!), ma sono composte da persone che sono state capaci di leggere le dissomiglianze dell’altro come un appello alla propria missione a crescere nell’amore. L’altro non è una risposta al mio bisogno di appagamento, ma una domanda a me stesso, una chiamata a uscire dal mio egocentrismo infantile per divenire un essere umano adulto, capace di donare. Ciò non significa sopportare passivamente il limite dell’altro. Anzi. Amare a volte vuol dire pungolare, spronare, accompagnare l’altro a uscire dal suo guscio protettivo (il pulcino deve rompere il guscio per vivere)”. Vita coniugale non è accomodarsi, adattarsi all’altro, ma avvicinarsi e armonizzarsi all’altro (come si fa nel rapporto sessuale). Non è scendere a compromessi ma elevarsi a obiettivi comuni. Non è sopportare l’altro, ma supportare, sostenere, sollevare l’altro, anche in eventuali cadute, malattie, fallimenti. Non è mitizzare o minimizzare l’altro, ma misurarsi con l’altro (ricordando che l’etimo di “mensa” è misurare, per cui è importante anche condividere i pasti).
Edoardo e Chiara Vian affermano: “Se nella relazione di coppia coltiviamo un atteggiamento attento al 50%, sarà un disastro, saremo dei ragionieri che dovranno mettere tutto in partita doppia: se io ho preparato ieri la cena, stasera tocca a te; se domenica scorsa abbiamo fatto quello che volevi tu, questa domenica decido io. Avremo una relazione da contabili, di una tristezza assordante”. Nella coppia si è coniugi, compagni, conviventi, dove conta il con, fare con, insieme, innanzitutto il rispetto reciproco, ricordando la bella e significativa etimologia di “rispetto”, volgere lo sguardo indietro. Per la coppia coniugale e per quella genitoriale non c’è una ricetta magica ma ingredienti essenziali, quali l’equilibrio (che non è compromesso) e rispetto. Equilibrio e rispetto sono quei valori che ispirano l’educazione, come si ricava dall’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, per cui bisogna prima maturarli in sé per poterli provare verso gli altri e trasmetterli alle nuove generazioni.
Edoardo e Chiara Vian aggiungono: “[...] accarezzate, abbracciate, baciate, stringete, coccolate, amate vostra moglie, vostro marito o chi vi sta a fianco, avete solo questa vita per farlo. Abbiamo questa fantastica opportunità, diventare amore attraverso la nostra fisicità, non sprechiamola. Il nostro corpo può amare divinamente”. L’amore di coppia non è solo intesa sessuale, è espressione della propria personalità, della propria libertà, è salute personale e di coppia. Come si legge nella Carta di Ottawa per la Promozione della Salute (1986): “La salute è creata e vissuta dalle persone all'interno degli ambienti organizzativi della vita quotidiana: dove si studia, si lavora, si gioca e si ama. La salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri”.
Edoardo e Chiara Vian continuano: “Che «lavoro» fa una persona sposata? Quello di amare il proprio coniuge”. L’obbligo reciproco di collaborazione previsto nell’art. 143 cod. civ. significa che i due coniugi devono compiere un “lavoro di coppia” per far funzionare il matrimonio e la famiglia che ne consegue, come in un passo a due di danza dove ognuno fa la sua parte.
Ancora secondo i coniugi Vian: “All’estremo opposto del principio del piacere […] non vi è il principio del dovere (si deve fare così, non si deve fare così), ma il principio del desiderio. Secondo il principio del desiderio, le mie scelte sono orientate a ciò che mi permette di crescere umanamente. In questo senso, quindi, sarò mosso dai valori che mi abitano e che mi fanno da stella polare per orientarmi verso quel desiderio profondo di vita che vive in me. Mentre il seguire tutte le regole aderendo completamente a esse (cioè il principio del dovere), rispetto allo stesso movente di fondo del principio del piacere (che […] porta al non seguirne nessuna assecondando solo la propria pancia): entrambe le modalità, infatti, evitano di entrare in contatto con quella sofferenza che è necessaria per partorire ciascuno di noi alla vita nuova”. Gli obblighi coniugali reciproci ex art. 143 cod. civ. (in particolare quello di fedeltà) si devono rispettare né per dovere né fin quando dura il proprio piacere, ma perché si desidera rispettarli nella consapevolezza dell’alterità della dimensione della coppia.
Gli esperti Vian: “[…] nelle conflittualità familiari la questione centrale non è la punizione, di sé o dell’altro, ma la misericordia; non è quella di coltivare le proprie offese, ma il riconciliarsi con l’altro e ricominciare, con amore, un’altra volta. Amare è rigenerare infinite volte la nostra relazione ferita”. Una forma di esplicazione dell’assistenza morale e materiale (art. 143 comma 2 cod. civ.) è il “perdono coniugale” (ancor di più nel matrimonio concordatario) che è pure un aspetto del progetto di vita familiare (art. 144 cod. civ.) concordato, cioè “con lo stesso cuore”.
Spesso sposarsi equivale a spossarsi. Per esempio non tutte le coppie sono tali, ma sono persone sole che entrano dalla stessa porta e che, varcata la soglia, continuano a essere sole. La costruzione e la durata della coppia si basano anche sulla consapevolezza: affidamento e affinamento reciproci, tra affiatamento e affaticamento. È questo il senso del “co-”, dal latino “cum”, “insieme, con” che forma le parole “consenso”, “coniugi”, “collaborazione”, “coabitazione”, “contribuire”, “concordare”, usate negli artt. 143 e ss. del codice civile.
Il bioeticista Paolo Marino Cattorini aggiunge: “E non è la sola convivenza fisica che fa l’unione «sponsale», cioè gravida di una promessa (spondére in latino significa promettere). L’anima gemella non esiste a priori. Si diventa una sola carne, decidendo giorno per giorno di lasciarsi prendere dalla storia che ci ha affascinato e che pretende di essere raccontata ancora”. La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha posto come quarto obbligo reciproco coniugale quello della coabitazione (che nella normativa previgente era il primo) non perché sia ultimo, ma perché il coabitare deve significare abitare “insieme” all’altro, abitare nell’altro.
La scrittrice Mariapia Veladiano approfondisce: “Il corpo è coinvolto nella nostra fede come nell’amore, nell’amicizia, in ogni sentimento e in ogni movimento della nostra vita affettiva e spirituale. [...] Non può che essere così: si commuove il corpo, prima del nostro spirito”. Così dovrebbe essere la comunione tra coniugi: quella comunione che si rivendica e di cui ci si accorge quando manca, per cui è causa di divorzio (art. 1 L. 898/1970, cosiddetta “legge sul divorzio”).
Essere coniugi, “uniti dallo stesso giogo”, vivere da consorti, “uniti dalla stessa sorte”: “finché morte non vi separi” è possibile se insieme si va avanti in ogni prova possibile.
Coniugio: non tanto aiutarsi quanto collaborare nelle faccende di casa e nelle vicende della vita, condividere emozioni e situazioni, anche se vissute separatamente. Quello che conta in una coppia è quello che procura il male minore e che dura di più di giorno in giorno.
A proposito di solidarietà o assistenza tra coniugi, bisogna ricordare che anche dopo il divorzio l’assegno divorzile ha una funzione solidaristica o assistenziale e che può mutare o cessare solo per giustificati motivi. Tra le tante pronunce in materia, la Cassazione civile ha stabilito, per esempio (sez. I, ordinanza 14 maggio 2024, n. 13192), che l’assegno divorzile può essere revocato all’ex-coniuge che ha ricevuto una cospicua eredità. Il numero crescente di divorzi e i relativi costi (anche personali e non solo economici) deve far maturare la consapevolezza di cosa significhi e comporti il matrimonio.
Amarsi: perdere l’io (nel senso di ego e non di identità), prendere il tu, rendere in noi. Così l’amore di coppia, l’amore genitoriale, l’amore familiare fonte di qualsiasi altro amore!